Stignano, il pronipote Erminio Nicèforo ricorda “donna Mafalda”

Stignano, il pronipote Erminio Nicèforo ricorda “donna Mafalda”

Riceviamo e pubblichiamo

Sono trascorsi due mesi da quando Stignano pronunciava il suo addio all’eleganza e alla saggezza tipica delle donne di un tempo.
Adele Mafalda Carnà Caristo, per noi famigliari zia Mafalda, emetteva l’ultimo anèlito nello storico Palazzo di Famiglia -già Attaffi- da lei coraggiosamente preservato dagli “attacchi” della modernità e, al contempo, portando avanti la tutela di un patrimonio fondamentale per la città tutta fino all’ultimo dei suoi giorni.

Di umili natali, donna Mafalda (com’era nota a tutti in Stignano e dintorni) è stata una donna forte e dolce; pratica, vera e soprattutto senza snobismi. Da sempre una figura che ha incarnato in perfetta simbiosi la nobiltà d’animo e sociale riuscendo ad intuire e sdoganare anche l’idea stessa di nobiltà con intelligenza e lungimiranza.

Nell’arco della sua lunga vita ha sempre difeso tenacemente l’integrità del piccolo borgo di Stignano, che ha il suo bene più prezioso nella villa settecentesca cui porta il nome del suo compianto marito, zio Brunino.
Il suo amore incondizionato per l’arte ed il bello era però contrapposto da un’IMMENSA UMILTÁ che ha avuto culmine nel suo ultimo desiderio.
In extremis infatti zia Mafalda ha espressamente disposto di non voler allestita la propria camera ardente nei locali della Galleria e così il figlio Roberto che si è amorevolmente preso cura di lei, ha esaudito l’ultima volontà della madre cui ha accudito con dedizione ed amore presso la propria abitazione in Torino dove la zia ha trascorso sporadici periodi invernali per poi, impaziente, fare ritorno nella sua amata Stignano, tra la sua gente.

Con la sua morte si chiude un’epoca, si conclude letteralmente un capitolo: si ricongiungono dunque i Caristo “della vecchia guardia” in un luogo ultraterreno dove l’anima continua a vivere e dove la pace, che non ha regnato in vita, vi troverà senz’altro dimora!
Calano così per sempre le luci a Palazzo di cui ora resta soltanto un possente e assordante granito.

Erminio Nicèforo, pronipote.

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