La Calabria non potrà competere con le regioni del Nord nella sfida delle autonomie differenziate

La Calabria non potrà competere con le regioni del Nord nella sfida delle autonomie differenziate

Di Cosimo Cavallaro

Fin dai primi giorni del suo insediamento il governo della Destra è in piena operosità per legiferare su una questione che è in cima alle preoccupazioni degli italiani. No, non stiamo argomentando di inflazione, costi energetici, mutazioni climatiche, rischio nucleare o quant’altro di banale rilevanza ma, udite udite, di “Autonomia Differenziata” e di “Presidenzialismo”. Il tutto con buona pace dell’ultimo rapporto del CENSIS che mostra un Paese vulnerabile e malinconico a causa della crisi economica, della scarsa fiducia nel futuro  e “dell’inceppamento dei meccanismi protettivi”. 

Ma, aldilà della mia facile polemica ironica  e della “voglia” presidenzialista dell’attuale Presidentessa del Consiglio, non possiamo considerare entrambe le questioni come semplici argomenti per distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica dai veri problemi. L’autonomia regionale proposta dalla Lega, che per chi non lo ricordasse è nata per concretizzare la secessione ovvero per dividere il Nord produttivo dal Sud parassitario (quello stesso Sud che con i suoi voti le ha permesso di partecipare al governo del Paese), se fatta male otterrà l’effetto di allargare la forbice tra le regioni ricche e quelle povere con conseguenze non prevedibili per il futuro del nostro Paese.

L’argomento dell’Autonomia Differenziata è estremamente complesso e non basterebbe un libro per sviscerarlo in tutti i suoi particolari. Per questo motivo non ci addentriamo in profondità in tutte le sfaccettature previste nella bozza del governo (due tra tutte: l’autonomia sulla scuola e sulla salute pubblica) e lasciamo volentieri il compito agli esperti. Dal nostro piccolo osservatorio possiamo soltanto esporre le nostre preoccupazioni affidandoci all’intuizione più che ai dati analitici profusi a piene mani (e a volte manipolati per convincere gli oppositori) dalle regioni che maggiormente fanno pressione sul governo, Veneto e Lombardia in testa, per ottenere l’autonomia.

Il pretesto principe si chiama “Residuo Fiscale” che, detto in parole semplici, rappresenta la differenza tra quanto i singoli cittadini pagano in tasse e quanto ricevono in termini di spesa pubblica. Con questa argomentazione le regioni del Nord, a traino leghista, ci hanno martellato il martellabile per anni. Purtroppo per loro, pagare più tasse non dimostra nulla perché il residuo fiscale di una regione deriva semplicemente dal fatto che in quel territorio, per svariati motivi,  risiedono cittadini con redditi più alti. Sul medesimo presupposto si potrebbe anche argomentare che nell’ambito della stessa regione vi sono comuni con un residuo fiscale più alto, quartieri della stessa città e così via. Diverso è il discorso sulla spesa pubblica che, per mantenere intatto il sentimento di comunità e come prescritto dalla Costituzione, deve essere uguale per tutti i cittadini aldilà del territorio in cui dimorano.

Tra i vari vantaggi che ci offre la società in una nazione moderna e democratica, il più importante è quello della parità sociale ovvero dell’eguaglianza dei diritti indipendentemente dalla residenza, dall’etnia, dalla religione, etc. Affinché questo principio si realizzi occorre una convinta solidarietà tra tutti i “conviventi” sotto la stessa bandiera. Se le relazioni tra le varie regioni fossero basate sulla concorrenza, come propongono i leghisti, il principio del mutuo soccorso verrebbe meno e con esso la coesione sociale che rappresenta il cardine sul quale ogni nazione civile progetta il proprio futuro. La suddivisione dei cittadini in categorie calibrate sulla produttività è un rischio da evitare a tutti i costi. In esso si nasconde una visione malata della società che trae la sua origine da un’ossessione dell’attuale classe politica al potere: il concetto della meritocrazia.

Se recepita senza adeguata analisi, la parola “meritocrazia” è una truffa intellettuale. La sua applicazione prevede che le condizioni di partenza tra i concorrenti siano identiche, in caso contrario è come fare una gara sui 100 metri nella quale alcuni atleti sono avvantaggiati perché partono da distanze ravvicinate al traguardo. Indovinate chi vincerà! Considerando lo status presente le regioni italiane sono fortemente differenziate economicamente e quelle meridionali (secondo i leghisti quelle parassitarie) sarebbero le più penalizzate. Come si può, allo stato attuale, proporre l’autonomia regionale incentrata sulla concorrenza e sulla meritocrazia? Le regioni del Sud e la Calabria in particolare dovrebbero essere estremamente incazz… inalberate con l’attuale proposta in discussione nella maggioranza governativa.

Sono convinto che le nuove generazioni, per disattenzione dei genitori e della scuola, non siano a conoscenza della “Questione Meridionale”. Ma quelli di una certa età, come me, dovrebbero avere ben presente qual è stata la storia dall’Unità d’Italia ai giorni nostri, soprattutto negli anni del boom economico quando un Sud povero era conveniente per l’economia della nazione. Non possiamo aver dimenticato quando il Mezzogiorno rappresentava la riserva di manodopera per le industrie del Nord. Milioni di famiglie hanno abbandonato le loro terre, spopolando i paesi del Sud, per cercare fortuna nelle città industrializzate del Settentrione dove interi quartieri nascevano come funghi per ospitare gli emigranti operai. Quando anche lo Stato traeva vantaggi dalla disoccupazione meridionale arruolando nell’esercito o nelle forze dell’ordine, lavoro pericoloso e gravoso, i giovani figli del Sud privati di alternative più sicure e convenienti e abbagliati dal famoso: “posto sicuro”.

E che dire degli scandali consumati sulla pelle del Meridione? Non possiamo confinare nell’oblio  l’espediente usato da aziende nordiche che, furbescamente, incassavano i soldi dalla Cassa per il Mezzogiorno per investire al Sud, affittavano uno sperduto capannone in terra meridionale, rinnovavano il parco macchine nell’azienda madre spostando quelle vecchie nella filiale del Sud e, infine, la chiudevano senza mai averla fatta decollare seriamente, accampando le scuse più disgustose (tra le quali quella che i meridionali non avevano voglia di lavorare).

E ancora le innumerevoli “Incompiute” o le “Cattedrali nel Deserto”: opere pubbliche, realizzate prevalentemente da aziende del Nord, con i fondi stanziati per il Sud, iniziate e mai terminate perché i soldi finivano e non se ne trovavano altri. O, per giungere in tempi più recenti, l’utilizzo del territorio nelle regioni del Meridione (dove il controllo ambientale non ha mai brillato), come discarica per rifiuti industriali provenienti anche e soprattutto dalle aziende del Nord. In tanto malcostume il Meridione non è mai decollato ma molti, meridionali e settentrionali,  si sono arricchiti vergognosamente con il denaro stanziato per il suo sviluppo. Ma dov’era la Maggioranza di governo quando tutto questo e tanto altro accadeva a scapito delle regioni del Sud e noi meridionali, emigranti compresi, ci indignavamo e protestavamo purtroppo senza grandi successi?

Oggi ci propongono l’autonomia differenziata come la panacea per tutti i mali ma sanno benissimo che il rischio di peggiorare la situazione del Sud è molto alto perché non tutte le regioni del Meridione la potranno sostenere: non per incapacità amministrativa o scarsa capacità imprenditoriale ma perché sarà impossibile competere alla pari con le regioni ad economia avanzata del Nord. Pensiamo, ad esempio, alla nostra Calabria rimasta al palo anche perché il suo territorio mal si presta a grandi opere industriali.  Le sfide del futuro si vinceranno con la ricerca e la velocità ed entrambe, per essere propulsive, necessitano di investimenti e servizi pubblici. Se la legge sull’autonomia entrerà in vigore, ad esempio, tra due anni: siamo certi che in questo lasso di tempo riusciremo a trovare i fondi e il tempo necessari per realizzare le infrastrutture mancanti o fatiscenti ovvero per recuperare quanto non è stato realizzato in 77 anni di vita repubblicana?

Per amore della verità dobbiamo ammettere che non tutto è stato negativo per il Sud. Tante opere sono state realizzate ma sempre con quella fatica e quel lassismo che lasciano nei cittadini meridionali un retrogusto amaro da retroguardia. È stata ammodernata la Salerno-Reggio: ma mentre questo accadeva in alcune autostrade del Nord c’era già la quarta corsia  e la variante di Valico era già operativa. I treni ad alta velocità arrivano fino a Reggio: ma è da anni che la tratta Milano-Roma si percorre in quattro ore scarse mentre sulla costa Jonica abbiamo ancora il binario unico e la locomozione a gasolio perché manca l’elettrificazione.

E così discorrendo fino a parlare di acquedotti, di viabilità ordinaria, di istruzione, di ambiente, di turismo (che maggiormente necessita di infrastrutture adeguate a portare i turisti fin sulle nostre coste) e, non ultimo, di salute. Quanti sono i calabresi che, colpiti da malattie gravi, si sentono dire dal proprio medico curante: “è meglio se vai a curarti a Milano o Bologna o Roma”? Certo, di recente è stato realizzato un buon ospedale a Germaneto ma, in compenso, sono state smantellate o ridotte al lumicino, tante piccole realtà come Locri che davano soluzioni a migliaia di assistiti. Ed in tutto questo non possiamo neppure esporre il nostro malessere perché ci saranno sempre i benpensanti, del Nord (e di altrove), che ci accuseranno di vittimismo e ci ricorderanno che il nostro vero problema è stato ed è la scarsa voglia di lavorare.

Ecco perché parlare oggi di autonomia differenziata nella nostra regione dovrebbe provocarci un attacco di orticaria. Le cause vanno ricercate nel provincialismo ipocrita che si nutre di stereotipi a basso prezzo; nel campanilismo becero che tende a dividerci piuttosto che fare quadrato per sentirci, finalmente, dopo secoli di frantumazioni e divisioni, una nazione unica. Altro che “prima gli italiani”. La frase vera, quella che dimora nell’animo leghista, è: “prima il Nord”. E lo è con ragione perché il Nord è più omologato e orientato al pensiero unico fondato sulla produttività compulsiva. Ma lo Stato non è un’azienda che necessita esclusivamente di persone sane, capaci, efficienti e laboriose.

Lo Stato nasce dalle macerie di una storia millenaria con una missione ben precisa: «garantire a tutti i cittadini pari diritti, pari dignità, sicurezza, istruzione, lavoro e salute affinché i medesimi possano cooperare tra loro, ognuno con le proprie capacità e attitudini, per il raggiungimento di obiettivi comuni che conducano al benessere collettivo». Finché questi semplici concetti non saranno scolpiti, a caratteri cubitali, nella coscienza di ognuno di noi, le infinite regole di convivenza che potremo inventarci non solo non riusciranno a risolvere i problemi ma, se possibile, ne creeranno di nuovi.

Vi sono leggi che possono sconvolgere il presente e il futuro dei cittadini più di altre, che incidono sulla loro carne viva e che, di conseguenza, non possono essere annunciate a beneficio esclusivo di propaganda politica o di effimeri sondaggi temporali. È probabile che anche la Calabria un domani potrà salire nell’Olimpo delle regioni ricche e accettare la sfida dell’autonomia ma, al momento, direi che l’unico commento che si potrebbe fare alla proposta del ministro delle riforme sia da affidare al grande Totò quando recitava: “Ma mi faccia il piacere”.

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