Messina Denaro non aveva timore, la sua “libertà” faceva parte di un patto

Messina Denaro non aveva timore, la sua “libertà” faceva parte di un patto

Di Luca Casarini

Come fallivano tutti i tentativi di cattura di Messina Denaro? Esattamente come quelli di tutti gli altri capi. Quando arrivavano i corpi speciali per prenderlo, che fosse in Spagna, in Germania o in Sicilia, lui non c’era già più. Qualcuno, da dentro, avvisava. Poi ovviamente, altri tipi di lavoro interno garantiva l’insuccesso degli inquirenti: il depotenziamento del dispositivo di ricerca, meno fondi e meno uomini, il depistaggio, e così via.

Il super ricercato non ha mai temuto troppo: lo si evince in maniera chiarissima dal suo volto, dai suoi connotati: siamo nel tempo dei software di riconoscimento facciale, chiunque voglia sottrarsi alla cattura, specialmente se ricercato da tutte le polizie del mondo, minimo pensa a una plastica facciale, visto che i soldi non gli mancano, almeno ai classici baffi e parrucca. Messina Denaro invece non ha mai temuto, perché la sua “libertà” faceva parte di un patto.

Casarini: “La cattura di Matteo Messina Denaro sembra concordata” – Ciavula

Nella storia di questo paese, il più sudamericano d’Europa in quanto a stragi, collusioni tra mafie e potere politico, e spettacolarizzazione dello “Stato” ( quando cio’ avviene con tanto di sceneggiature e messe in posa significa che c’è uno Stato da mostrare e creare per l’immaginario collettivo, per coprirne un’altro impresentabile ), la “verità” non si presenta mai per intero. C’è un tempo per tutto, ed è su quello che bisogna tarare ogni pezzo che si aggiunge. Messina Denaro, l’ultimo della cupola stragista retta dai Corleonesi, non doveva essere catturato subito. Come Riina e Provenzano.

Dovevano prima chiudersi altre vicende umane, con la morte dei protagonisti politici di quella stagione passata da un pezzo, che ha nelle mattanze sulle strade e nelle bombe con tecniche militari inarrivabili anche per il più esperto dei soldati dei pecorari di Corleone, il suo colpo di coda del 900, un secolo che non voleva chiudersi nonostante il nuovo millennio premesse impaziente per entrare in scena. Ai morti si possono attribuire poi le peggio cose, ma tanto sono morti. Non aggiungeranno o toglieranno niente. Non potranno confermare o smentire, difendersi o accusare gli altri.

Il loro immodificabile silenzio è la migliore garanzia della verità che si vuole far passare come tale. Ed è trattato come una rivendicazione, il silenzio dei morti: nulla potete più cambiare. È stato così per Moro, per La Barbera e l’irruzione alla Diaz, per Tangentopoli, ancor prima per le stragi. Messina Denaro non poteva essere catturato prima, e lui lo sapeva.

Meditava di costituirsi dice l’Ansa, per via della salute: fare la dialisi a casa, a Campobello di Mazara e la chemio a Palermo, a 600 metri dalla centrale della Dia, era diventato troppo forse. Se avesse avuto una aspettativa di vita più lunga, forse, gli avrebbero magari concesso altri 15 anni, come a Provenzano. Messina Denaro, vecchio arnese di una mafia che non c’è più, soppiantata da ben altre forme globali di accumulazione e investimento di capitali, dal petrolio alla finanza, dai vaccini alle armi, amministrava i suoi affari nel trapanese.

Si garantiva non solo una vita agiata, ma anche quella rete di complicità sul territorio che è indispensabile per farti dire che sei ancora “potente”, mentre la morte ti batte sulla spalla. La “borghesia mafiosa” arrestata, colpita duramente nei patrimoni milionari, non l’ha mai tradito. Oltre 100 arresti attorno a lui in questi anni, 200 milioni di euro sequestrati, aziende intere bloccate, ma nessuno ha mai detto una sola parola. Almeno ufficialmente da poter essere messa agli atti, da poter essere utilizzata in un processo. Le “soffiate”, cioè quello che questa rete di protezione sul territorio ha sicuramente detto, sarebbero andate a vuoto comunque.

Perché, come diceva Masino Buscetta a Falcone “c’è un tempo per tutto. Ora non è il tempo giusto perché io vi dica tutta la verità”. Ma anche un vecchio arnese come Messina Denaro, adesso che è innocuo per lo Stato impresentabile, adesso che potrebbe tirare in ballo solo morti, può tornare utile: come per il maiale, non si butta via niente. Una bella sceneggiata, un grande arresto con centinaia di uomini superarmati che “catturano” uno che arriva con il commerciante di olive su una fiat brava da Campobello di Mazara.

Penso che magistrati e Ros e Gis siano proprio convinti di aver fatto un gran lavoro, e l’hanno sicuramente fatto. Il problema è che gliel’hanno fatto fare, stavolta nessuna messa in allarme del latitante è arrivata. O forse si, e il latitante era anche consapevole. Ma certo, quegli uomini con il mephisto sul volto, non si poteva farli recitare. Loro devono crederci. Con tutto quello che vedono, per tenerli legati alla loro missione, bisogna dargli il senso eroico della vittoria.

Nessuno adesso, romperà più i coglioni per continuare a cercare che fine hanno fatto le agende di Borsellino. Su chi dei servizi italiani abbia fatto arrivare un quantitativo di esplosivo militare così grande da poter far saltare in aria un’autostrada. Su chi degli apparati militari, abbia preparato e manovrato il dispositivo per l’esplosione sincronizzata, cosa molto complicata per target in movimento da qualche kilometro di distanza. O chi abbia innescato l’autobomba in Via D’Amelio per Borsellino.

“Menti raffinatissime, altro che mafia” diceva Falcone. Eh si. Menti raffinate di una governance di questo paese che non si è fatta mancare nulla. Da quello sbarco in Sicilia che ha preparato l’ordine mondiale che ha tenuto botta per mezzo secolo. Ora è un’altra storia. È un altro ordine mondiale.

Anche se, nonostante i morti ammazzati, le vittime innocenti come il piccolo Di Matteo, da noi non sembra mai una cosa seria. È cosa nostra, proprio.

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