Lettere di un soldato gioiosano in guerra

Lettere di un soldato gioiosano in guerra

Qualche mese fa, nel riordinare le carte della nonna di mia moglie, nonna che ormai non è più tra noi  da qualche decennio, mi sono ritrovato due lettere di cui ho compreso subito il contenuto. Sono di uno dei  suoi due  fratelli della nonna caduti in guerra. Sul contenuto delle missive non faccio commenti: è molto chiara ed esprime tutte le sensazioni e le preoccupazioni dell’autore per chi aveva lasciato a casa, ma senza rimpianti per la condizione che stava vivendo. Ho chiesto ovviamente il consenso dei suoi parenti (nipoti) più stretti per pubblicarle.  

                                                                                                      Roma 7-1-1942  XXI

Cara sorella

Subito riprendo la tua gradita lettera onde apprendere con gioia che state tutti bene, lo stesso ti posso assicurare di me fino ad oggi. 

Dunque sento ciò che mi dici “a riguardo come io avevo scritto” che si sol dire: lontano dagli occhi, lontano da mente, invece è tutto al contrario, ma con quella rabbia (la rabbia di dover partire) non sapevo cosa scrivere; dici che avete fatto una raccomandata immediatamente al comando e non mi hanno chiamato, e va bene, facciano come “ci” (a loro) pare e piace, in tutti i modi Clementina (una sorella che si era  sposata dopo la sua partenza) si trova a casa sua, almeno posso sapere dove abita dato che non si sono degnati a scrivermi neanche una cartolina (?) Me lo potete dire voi, credo che non “ci” (a lei) costava niente di scrivermi una lettera da casa sua. Va bene credo che si decideranno qualche giorno di scrivermi se non ci reca disturbo. 

Dunque cara Rosina, ti faccio sapere:  quando scrivi non mettere 2° compagnia perché non sono più della seconda, sono nella compagnia telecomunicazioni e figurati che non facciamo proprio niente: la mattina ci alziamo alle 8. Forse questa compagnia resta sempre in Italia a disposizione di (per)  qualche guasto di linea, speriamo che sarà così. Ieri ho ricevuto una lettera di Ciccio nostro (l’altro fratello poi caduto in Russia) il quale mi comunicava che sta molto bene e dove si trova lui è tutto bianco di neve , però lui sta al caldo in una casa che cià la stufa; speriamo che lo lasciano dove attualmente si trova “di” (per) quanto ha sofferto adesso ci tocca un po’ di riposo. Dunque da contà (termine preso dal romanesco)   non mi resta altro, ricevete i più affettuosi saluti, saluta gli zii, a tuo suocero a tua cognata Maria, fratelli e sorelle, mamma e papà: gli chiedo la sua S. B. (Santa Benedizione). Ultimo saluto a te insieme ai tuoi bambini e sposo mi dico tuo aff-mo fratello

 Emanuele Caracciolo

– Buone notizie.

La seconda lettera  ( e ultima) la scrive dopo più di un anno; non si trovava  in Italia però.

                                                                                             Posta Militare 3450 li 8- 4- 1943

Cara sorella, 

Ti giungerà questa mia dandoti notizie della mia buona salute, altrettanto spero di sentire di te insieme (a) tutti.

Dunque finalmente dopo un lungo viaggio mi sono messo al posto; ho fatto 5 ore di volo, al quanto qui ho trovato un posto molto buono, sono al centralino telegrafico e non si fa niente, per questo ringrazio a Dio, sono vicino al mare, a 50 metri, però dalla città sono a 60 chilometri, soltanto che ci sono piccoli paesetti, qui sai come è, come  Cessare (contrada di Gioiosa J.) tutto vigne, fichi, e piante di olivi, lo stesso della Calabria, insomma il posto è buono però  “il fatto per venire a casa è un po’ brutto” (è difficile che possa tornare a casa)  se prima non passano due anni, non si viene a casa; però tu non dire niente a mamma. Ma io sono contento di stare qui, perciò per me non “pensate niente”, (non  preoccupatevi) nell’atto ti invio i più cordiali saluti, saluto i parenti e tuo suocero, i fratelli e sorelle, a mamma e papà; gli chiedo la S. B. Ultimo saluto a Ciccio (Il marito della sorella) e (ai) nipotini,

abbracciandovi con affetto, tuo aff-mo fratello

Emanuele    

[                                                                                                                          ] 

Dopo quasi  80 anni ci risiamo: siamo dentro una guerra di vaste proporzioni che non abbiamo deciso noi e di cui non comprendiamo le ragioni, se per scatenare una guerra ci sono argomenti  che la possano giustificare! Credo di no: ci sono sempre ottime ragioni per non fare la guerra e per risolvere pacificamente le controversie, ma  i “potenti” non la pensano così: essi  manipolano la gente comune,  tentano di imporsi per rivendicare lo sfruttamento delle risorse della propria nazione e di quelle delle altre nazioni, con le buone, se trovano accondiscendenza e sottomissione, o con le cattive se trovano per la loro strada qualcuno che li ostacola. A loro non interessa il progresso equo e solidale, che distribuisce le ricchezza a ciascuno secondo le necessità e i meriti, ma il dominio, il potere assoluto, mascherato da falsi buoni propositi. I “potenti” si circondano  da una stretta cerchia  di ricchi che  devono pensare solo ai loro bisogni materiali e a obbedire al loro despota, cattivo e convinto di avere sempre ragione, che tenta di dominare il “mondo” perché  se non lo domina lui lo fa qualcun altro al posto suo, o almeno è questo che racconta per giustificare le sue gesta. E’ come il personaggio cattivo dei fumetti che vuole dominare il mondo, ma nei fumetti trova ad ostacolarlo il supereroe buono che smaschera i suoi piani e lo distrugge. Nella realtà non ci sono supereroi, ma la questione è maledettamente seria, benché non venga percepita tale dalla stragrande maggioranza della gente che si preoccupa solo del potere di acquisto del proprio stipendio e del prezzo del cibo, ma non di perdere la propria libertà. Molti non sanno distinguere quale dei contendenti è dalla parte  “giusta” della storia, non sanno che questa faccenda, tragica e spaventosa, potrebbe portare quanto più lontano possibile dalla convivenza pacifica dei popoli, dalla messa a disposizione delle conoscenze e mezzi in base alle proprie attitudini  e dalla condivisione delle risorse per il bene di tutti. Potrebbe, pertanto, segnare la fine della “globalizzazione” tanto conclamata fino a qualche anno fa. Emanuele non poteva sapere e non si chiedeva se  la  guerra che andava a combattere fosse “giusta” o “ sbagliata” ma non si era potuto tirare indietro nonostante  la chiamata lo avesse raggiunto appena diciottenne, era preoccupato per i suoi, aveva nostalgia per la sua terra, era un ragazzo di campagna, ma preciso, ordinato  e dall’animo gentile, come si evince dalle  lettere alla sorella che poi  avrebbe riferito ai genitori delle sue buone condizioni. Sperava di tornare presto ma il suo destino si sarebbe compiuto qualche giorno dopo la stesura del suo ultimo scritto: durante uno dei tanti trasferimenti, il mezzo aereo su cui viaggiava tra le isole greche è stato abbattuto. Rimane questa testimonianza, che non ha colmato mai il dolore dei genitori e dei fratelli, rimane a testimoniare la brutalità e l’ingiustizia della guerra.  

                                                                                                                                           Francesco Violi

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