A Caulonia si riscopre l’agguato con l’autovelox

A Caulonia si riscopre l’agguato con l’autovelox

Di Cosimo Cavallaro

Ben 5 righe per propagandare le meraviglie dell’autovelox: la legalità, la precisione, l’omologazione, la taratura e i controlli periodici. Mezza riga per segnalare al “delinquente” signor Rossi che, avendo superato il limite di velocità  di ben 3 km/h su 50 ammessi, si becca una multa salata. Per l’esattezza ben circa 20 euro per ogni km in più (in pratica il signor Rossi ha percorso 3 km al costo di un pieno e mezzo di carburante!). E ben gli sta al nostro “malavitoso” perché bisogna aver chiaro in mente che, quando si è al volante di un’auto, si ha la licenza di uccidere pertanto bisogna sempre tenere d’occhio la strada, la segnaletica e la velocità (soprattutto se chi ha promulgato la Legge probabilmente aveva la convinzione che tutti i mezzi circolanti dispongono di tachimetro con precisione alla seconda cifra decimale!). “Le leggi vanno rispettate”, ho detto al signor Rossi mentre mi mostrava il verbale con l’aria di chi ha deciso che il vigile sarà il suo naturale nemico futuro. “Infatti, ho già pagato!”, ha risposto con voce appena stemperata per aver ottenuto lo sconto (quasi il 20% in meno per pagare senza ribellarsi e senza porsi troppe domande), “Ma questo non significa che io non possa essere  inc…ato!”, ha concluso.

Che noi italiani, in genere, siamo recalcitranti al rispetto delle regole è un fatto risaputo, così come è noto che, quando abbiamo sotto il sedere oltre cento cavalli, ci orientiamo con la legge della giungla, dando il meglio della nostra arroganza. Ma, pensandoci su, mi torna alla mente una constatazione fatta anni addietro: quando ci troviamo all’estero ci comportiamo da cittadini modello, soprattutto alla guida di un’auto. Come mai? La risposta la affido a quanto mi disse all’epoca un collega: “rispetto la segnaletica perché è veritiera. Se un cartello ti indica di viaggiare a trenta chilometri orari, fallo perché c’è un motivo serio”! Inutile dire che il pensiero corre verso tutta quella segnaletica che inonda le nostre strade: dimenticata, obsoleta, inutile, posta sull’onda emotiva di una tragedia accaduta senza aver risolto alla radice la causa. Penso sia evidente che non è in discussione il rispetto della Legge ma, se è lecito parlarne, la sua applicazione pratica e l’impatto sulla vita reale dei cittadini. Viaggiare a 50 km/ora nei centri abitati, spesso è fin eccessivo se non impossibile, ma vi sono strade urbane ed extraurbane sulle quali i limiti imposti appaiono come una presa in giro. Inoltre, da quando l’adozione dell’autovelox  ha semplificato la vita dei controllori, non più costretti a fermarti e a contestarti l’infrazione guardandoti negli occhi, è nata la considerazione che anche il codice della strada, sacrosanto, sia diventato un mezzo per accumulare denaro da incamerare nel magma del bilancio comunale. Quando, anni addietro, nelle grandi città si decise di irrigidire l’infrazione del “divieto di sosta”, si disse che con il ricavato delle multe si sarebbero realizzati nuovi parcheggi. Ebbene, le aree di sosta sono spuntate come funghi ma… a pagamento.

Tutto questo non per lagnarsi sull’uso di mezzi repressivi che segnalano le infrazioni degli automobilisti o, peggio, per esternare qualunquismo, ma per esprimere un concetto importante e più volte ripetuto: le leggi sono fatte dall’uomo e, di conseguenza, non è scontata né la loro perfezione né, tantomeno, la loro percezione. Ne è riprova il fatto che ogni nuovo governo, appena insediato, al primo punto del suo programma politico pone la demolizione delle leggi emanate da quello precedente. Questo “vizietto”, tipicamente italiano, genera enorme confusione sulla quale potremmo aprire un dibattito infinito. Ma ciò che dovrebbe preoccupare maggiormente noi cittadini, dal momento che dobbiamo rispettare Leggi che presumono la piena applicabilità, è l’operato della classe dirigente che ci scegliamo e alla quale deleghiamo il compito di realizzare non solo le norme ma, soprattutto, le strutture e l’istruzione necessarie affinché sia evidente che rispettarle non è un onere ingrato ma una necessità. Come sempre, le responsabilità maggiori appartengono alla Politica. Sono tanti i “politicanti” che in campagna elettorale  sfoggiano promesse mirabolanti per poi rimangiarsele. Il potere, come un drappo rosso agitato davanti ad un toro, eccita e illude chi lo detiene. Al sacrificio, al lavoro incessante sulle innumerevoli problematiche che la vita sociale propone, il politicante preferisce gli applausi, l’adulazione e le scorciatoie che, nel caso della legalità, si chiamano sanzioni. Sono sempre più le leggi che abrogano, invalidano, revocano e, di conseguenza, sanzionano. Perché castigare è molto più semplice e meno faticoso che risolvere i problemi alla radice, educare, convincere, studiare i fenomeni, aiutare il cittadino nel difficile compito della responsabilità senza ricorrere alla punizione. La sanzione incorpora il magistrale difetto della certezza dando per scontato che, chi non ottempera, chi sbaglia non è né ignorante, né inconsapevole, né impossibilitato ma, semplicemente: criminale. Una visione della realtà che ci riporta indietro fino alle origini della civiltà, quando si era certi che una mazzata in testa fosse molto più efficace di cento parole. Comunque la si pensi, l’idea che la legalità si possa ottenere solo con la punizione ovvero con la forza delle leggi, è una convinzione che appartiene al passato. E chi propone l’uomo o la donna forte al comando che faccia rispettare la Legge, sta indebolendo quella stessa Democrazia sulla quale poggia la nostra convivenza civile. Il rischio che rendere pubblica  l’indignazione per una banale multa, presa a causa di un autovelox, si trasformi in uno sfogo da reprimere in silenzio è sempre dietro l’angolo. E l’attuale maggioranza al potere non perde occasione per ricordarcelo.

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