Se questo è un bambino: i diritti calpestati dei bambini di Gaza

Se questo è un bambino: i diritti calpestati dei bambini di Gaza

di Cristiano Fantò

Da bambino, rientravo da scuola piuttosto affamato. Probabilmente perché, da buon timido, non amavo mangiare in classe durante la ricreazione.
Giunti a casa, io e mia sorella lasciavamo lo zaino nella “stanza dei giochi”, lavavamo le mani e sedevamo a tavola.
Mamma aveva già apparecchiato, il piatto era ancora fumante. Nel caso in cui la pietanza non fosse di nostro gradimento davamo il via ai capricci, come fanno i bambini quando protestano per motivi che agli adulti possono sembrare futili ma che, per loro, sono di vitale importanza.
Duarante il pranzo, mi piaceva raccontare ciò che aveva caratterizzato la mia giornata: dai momenti divertenti vissuti con i compagni, ai nuovi argomenti studiati. Il tutto, pregustando l’attimo in cui mi sarei fiondato sul divano per guardare i cartoni animati, prima di fare i compiti.
Questa quotidiana ritualità mi faceva sentire al sicuro, lontano dalle preoccupazioni. Ingenuamente, credevo che tornare a casa e trovare trovare un pasto caldo fosse scontato, una sorta di atto dovuto da parte del mondo nei confronti dei più piccoli.


Di recente ho pensato spesso a quei giorni, leggendo dei bambini di Gaza uccisi mentre si trovavano in fila per ottenere una misera razione di cibo, o di quelli lasciati morire di sete e di fame.
Costringere un essere umano a fare ore di fila ogni giorno in cambio di un tozzo di pane significa sottrarlo alla vita e relegarlo alla brutale lotta per la sopravvivenza, privandolo di ogni libertà e dignità; ucciderlo nel frangente in cui, ammassato insieme ad altri disperati, attende di nutrirsi, equivale a farsi beffa di ogni residua speranza che, tra gli stenti, egli ancora coltiva.
Mentre a Gaza si continua a morire, in Italia si dibatte per stabilire se sia opportuno o meno parlare di genocidio: premesso che a mio avviso trattasi di genocidio in piena regola, molto più della semantica mi tormenta il pensiero che quel che per me rappresentava la normalità — il profumo del pranzo che mi accoglieva, il calore di una casa, il tempo lento dell’infanzia — per quei bambini sia un miraggio o, peggio, un diritto scientificamente calpestato.
Questo scempio deve finire, il mondo non può più esserne complice.

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