ACCOGLIENZA, FORSE NON TUTTI SANNO CHE…

Quanto sta accadendo a Caulonia in questi giorni è già capitato altrove, anche recentemente – Bivongi e Briatico gli ultimi in ordine di tempo – e potrebbe capitare ovunque. In qualsiasi comune che ha deciso di aprirsi all’accoglienza. Il modus operandi messo in pratica dai rivoltosi è sempre lo stesso: blocco delle principali arterie stradali per creare disagi alla comunità locale e un ignobile atteggiamento aggressivo e violento dei più facinorosi rivolto contro i lavoratori del progetto che li ospita.
Le rivendicazioni sempre le stesse: «vogliamo i documenti, e li vogliamo subito». Oppure: «vogliamo essere convocati in Commissione e lo vogliamo subito». O ancora: «vogliamo più soldi per le sigarette e le schede telefoniche».
Forse non tutti sanno che simili questioni esulano dalle competenze degli Enti Gestori e degli Enti Titolari dei progetti di accoglienza. Per questo, le proteste dei migranti accolti a Caulonia sono ingiustificate e strumentali. Per questo, quelle proteste potrebbero esplodere ovunque, perché nulla hanno a che fare con il lavoro di chi è il principale obiettivo delle loro rivendicazioni: gli operatori sociali.IMG-20150326-WA0007
Conosco personalmente alcune ragazze impiegate nello Sprar di Caulonia. La loro passione, abnegazione e dedizione al lavoro non possono essere messi in discussione da nessuno. E conosco personalmente una miriade di donne e di uomini di Calabria impiegati in progetti analoghi. Solo chi fa questo lavoro può capire quanto esso sia frustrante, totalizzante, ingrato e molto spesso demoralizzante. Solo chi fa questo lavoro può capire certe dinamiche.
Io proverò a spiegarne qualcuna, visto che anche stavolta, puntualmente, sono scattati gli approcci razzisti alla questione. Da destra e da sinistra.
Forse non tutti sanno che Sprar, è l’acronimo di Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati. Un programma che fa capo al Ministero degli Interni e mira a dare temporanea accoglienza a chi, in virtù della Convenzione di Ginevra, chiede asilo politico all’Italia, in quanto si ritiene vittima di persecuzione nel suo Stato di origine. Chiunque può avanzare una simile richiesta. Chiunque. È un diritto inalienabile. Ma sarà poi la Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale a valutare se effettivamente sussistono reali pericoli nella terra di origine tali da mettere a repentaglio la vita stessa del migrante. È la Commissione Territoriale che decide quindi se il richiedente asilo ha diritto a permanere sul territorio italiano oppure no. Se riconosce questa possibilità, egli acquisisce lo status giuridico di rifugiato.
A questo punto è fondamentale però evidenziare un assunto molto importante. Poiché chiunque può presentare richiesta di asilo, tutti i migranti che arrivano in Italia si avvalgono di questo strumento, sapendo scientificamente che in questo modo possono usufruire per un anno e più, di uno status privilegiato e di una serie di servizi offerti dallo Stato. Perché nell’arco temporale che va dalla richiesta di protezione al colloquio in Commissione, il governo nazionale deve garantire ai richiedenti asilo vitto, alloggio, assistenza sanitaria, orientamento sul territorio, insegnamento della lingua italiana e un pocket money che può variare da 1,50 a 2,50 euro al giorno.
Così un sistema previsto per le vittime di violenze e persecuzioni, diventa un paracadute assistenziale per i nuovi venuti, che nella stragrande maggioranza dei casi sono migranti economici. Donne e uomini cioè che hanno deciso di lasciare il loro paese per migliorare in un altrove le proprie condizioni di vita. E questo dovrebbe implicitamente comportare la voglia e la volontà di darsi da fare per camminare con le proprie gambe su un territorio straniero, facendo leva essenzialmente sul proprio sacrificio, sulle rinunce, sul rispetto per la nuova cultura e sull’impegno costante e giornaliero. Esattamente come hanno fanno tutti i migranti economici dalla notte dei tempi. Ma non è cosi per tutti.
In ogni caso, ogni beneficiario, appena entra nel programma, firma un contratto e accetta un regolamento. In essi sono spiegati chiaramente i termini del progetto, i diritti e i doveri di ognuno. Tutti firmano. Tutti. Ma subito dopo iniziano i problemi.
In ogni Sprar, esiste un piccolo gruppo di beneficiari, che per i motivi più svariati, assume atteggiamenti di sfida, di sgarbo e a volta addirittura di violenza fisica e verbale. Che innescano tensioni all’interno del progetto stesso, rendendo il clima ansiogeno e pesante. La rivendicazione principale, quasi sempre, riguarda i documenti. «Vogliamo i documenti, e li vogliamo subito». Come se ottenere immediatamente documenti da uno Stato straniero fosse la cosa più semplice e naturale di questo mondo. I documenti, quanto meno quelli riguardante la permanenza temporanea, arriveranno, ma serve tempo. Perché forse non tutti sanno che questi documenti devono essere rilasciati dalla Questura, che opera costantemente sotto-organico a fronte di una mole di lavoro che negli ultimi anni è cresciuta in modo esponenziale. I ritardi sono consequenziali e questo, ai richiedenti asilo, viene spiegato continuamente. Ma il solito gruppetto di agitatori non lo vuole capire e tentando di coinvolgere gli altri beneficiari del progetto, inscena proteste senza fondamento contro gli operatori sociali. Che, ovviamente, non c’entrano nulla.
C’è poi l’altra vicenda spinosa, quella legata alla convocazione in Commissione. A Caulonia, i rivoltosi, accusano l’ente gestore dei ritardi. «Cinque mesi di attesa sono troppi» lamentano. E bloccano la strada e minacciano i lavoratori.
Forse non tutti sanno che in Calabria, ad oggi, esiste solo la Commissione Territoriale di Crotone, competente ad esaminare anche le richieste provenienti dalla Basilicata. Siamo nell’ordine di decine di migliaia di audizioni che deve smaltire un solo organo governativo. Cinque mesi di attesa è un tempo irrisorio. A volte, purtroppo, passa oltre un anno. Ma anche in questo caso le responsabilità non sono degli operatori.
Per questo le proteste di Caulonia sono inaccettabili. Perché rivolte contro chi non ha colpa. Perché danneggiano una comunità che ha solo il torto di voler ospitare lo straniero. Straniero, che ha scelto di venire in Italia consapevole dei vantaggi, troppo assistenziali, di cui può godere facendo richiesta di asilo politico. Ma che poi si ribella contro quello Stato e quelle persone che lo hanno accolto senza pretendere nulla in cambio, se non il rispetto delle regole e delle persone. Consapevoli anche di un’altra tutela di cui gode il richiedente asilo: la quasi impunità in caso di atteggiamenti scorretti e violenti. Mi spiego meglio: se un richiedente asilo ospite in un Comune Sprar aggredisce fisicamente un’operatrice sociale, l’ente gestore e l’ente titolare non hanno nessun potere di sanzione. Non possono espellere dal progetto il beneficiario. Lo può fare solo il Prefetto. E il Prefetto di un capoluogo di provincia difficilmente tende ad adottare un provvedimento del genere. Lasciando gli enti gestori inermi. Con le mani legate. E questo non può essere più accettato e tollerato. Cosi come non può essere più accettato che rivolte di questo tipo vengano quietate con finte promesse che non potranno mai essere mantenute. Ma che rinviano solo tensioni che poi andranno a ricadere nuovamente sugli incolpevoli operatori sociali, alimentando inoltre un atteggiamento scorretto e ingrato. Proteste di questo tipo devono essere risolte con severità e fermezza da parte delle forze dell’ordine e della Prefettura. Punto.

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