Che senso ha aver fatto il presepe?

Che senso ha aver fatto il presepe?

Ricordate? Era il 6 settembre, più di tre mesi fa, quando Papa Francesco, all’Angelus, di fronte ad uno scenario apocalittico e di emergenza umanitaria, fece un appello solenne e impegnativo: “ogni parrocchia accolga una famiglia”. E per famiglie intendeva quelle degli immigrati, quelle sfuggite alla guerra, alla fame, alla morte. Giunte al di qua del Mediterraneo, nell’opulenta Europa, dopo aver superato l’ecatombe di un viaggio denso di crudeltà inimmaginabili, disumane.

Ora siamo a Natale, dovremmo respirare più profondamente la calda e magica atmosfera della fratellanza e della pace, insite nel messaggio della fede proveniente dalla terra della natività in perenne conflitto, e viene spontaneo chiederci: quelle parole così forti e precise quale risultato hanno sortito. Qualche quotidiano ha riferito che su 25.000 parrocchie in Italia, soltanto poche centinaia hanno aderito all’appello del Papa. Questo dato sostanzia un significato inequivocabile: ancora una volta a Giuseppe e Maria è stato negato un rifugio per la nascita di Gesù bambino.

Il Natale, incorniciato nelle luminarie arzigogolanti, punteggiato dagli alberi a luci intermittenti per le vie e le piazze, ridotto dal consumismo ad uno sfolgorio di vetrine, riempito di canti, cori e concerti, è stato privato del suo valore essenziale. E’ come aver fatto il presepe dimenticando la capanna, la mangiatoia col bue e l’asinello, il posto dove far nascere Gesù bambino.

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