Cauloniesi indimenticati: ‘Mbambalambì

Cauloniesi indimenticati: ‘Mbambalambì

nambalambìCauloniesi indimenticati I.

Una volta, diversi anni fa, se per le strade di Caulonia, a qualsiasi ora del giorno, con il caldo o con il freddo, con il sole o con la pioggia, d’estate o in inverno, sentivi una voce roca e cantilenante che recitava: “mbambalambì e mbambalambà, na vota ca si e na vota ca no”, non c’era dubbio alcuno, era proprio lui.

E se lo guardavi ti appariva una persona che camminava col busto ciondolante e a larghe falcate, e con le braccia lunghe che si congiungevano nell’intreccio delle mani dietro la schiena: alta come un marcantonio, ma dalla figura filiforme, asciutta, e i capelli folti e neri ne esaltavano la statura. Guardava tutti dall’alto in basso, non per superbia altezzosa, ma perché la natura o il buon Dio decise di dargli in altezza ciò che gli aveva tolto nella crescita dell’intelletto.

Non era nato così, chi l’aveva conosciuto fin dal primo vagito diceva che da ragazzo una misteriosa febbre forte e improvvisa aveva fermato il suo cervello congelandolo allo stato infantile, dando, invece, libero sfogo al suo sviluppo fisico.

 Da quel momento la sua vita era divenuta un gioco perpetuo e immutabile, e dovendo scegliere cosa fare da grande, decise che a lui si addicevano bene il ruolo e i compiti faticosi del vigile urbano, addetto al traffico delle strade del paese, a stretto contatto con la gente. Non si occupava d’altro. Vestiva con giacche che somigliavano a quelle militari e portava gli occhiali scuri per conferire alla sua funzione impeccabilità d’immagine ed autorevolezza.

Il gioco era semplice, appunto infantile, si basava sulla contrapposizione, sulla contraddizione. Se gli dicevi che quella macchina non era parcheggiata nel posto giusto, lui ti rispondeva che andava bene e da qui partiva un battibecco che non finiva mai. Se ti aiutava a fare manovra e tu lo seguivi fiducioso ti faceva sbattere da qualche parte per cercare il motivo del contendere. La gente lo conosceva bene, partecipava volentieri al gioco ed era attenta alle sue piccole necessità che appagava con grande generosità ed amicizia, senza che lui chiedesse mai nulla.

Per i vigili veri, un corpo di più di dieci unità, era diventato un problema. Poteva passare mezza giornata, un giorno intero, una settimana ed in una determinata zona del paese non ne vedevi neanche uno. Ma Ilario no! Era presente in tutto il paese, per la via principale, il dedalo dei vicoli e le piazze, sempre in contatto con decine di persone, il cuore pulsante nascosto nell’agglomero delle case. In testa alle processioni spartiva la folla che si accalcava ai passaggio delle statue dei santi, e alla sera presidiava le manifestazioni ludiche. Il suo lavoro non conosceva festività e riposo..

Già, si chiamava Ilario, come il patrono e protettore del paese per il quale, a suo modo, ne aveva assunto gli stessi compiti in terra. Di cognome andava Nuciforo, figlio di mastr’Angelo, un calzolaio che tirò avanti la sua numerosa famiglia lavorando a capo chino, fisso sul suo banchetto, a tirar di lesina, a cucir di spago, in un buco sulla via di “Maietta”. Ed anche dopo che ottenne la sua misera pensione da artigiano ed il suo mestiere andò in disuso, stette lì, in quel buco a far nulla, a seguire in solitudine il volgere immutabile dei giorni e delle stagioni, assorto nel pensiero dei figli che intanto erano emigrati al nord per cercare lavoro, come tanti altri, troppi giovani cauloniesi.

Una mattina di primavera il sole non volle mancare e si mise a splendere sui tetti e i muri scarificati, i balconi e le finestre infiorati dai gerani pendenti. Ilario aveva appena iniziato il suo servizio e come tutti i lavoratori indefessi, seri ed appassionati nello svolgere fino all’ultimo istante di vita il loro dovere, si sentì male, cadde sulla strada infinite volte percorsa dal suo passo ampio, dalla sua nenia che l’annunciava attraendo lo sguardo allegro di tutti: rialzato nelle braccia dei passanti fu portato a casa con apprensione, ma non ci fu nulla da fare, si spense in meno di mezz’ora.

La notizia attraversò il paese in un baleno, fu il tipico colpo di fulmine a ciel sereno, perché era ancora giovane ed in piena forma. Il giorno successivo fu lutto cittadino, la chiesa del Carmine non riuscì a contenere tutto quello sciame umano che volle esprimere dolore, cordoglio, solidarietà. Tutti ebbero ricordi e aneddoti da raccontare. Nell’ultimo saluto, dietro il “Fosso”, scoppiò un fragoroso applauso e molte gote si rigarono di lacrime sincere.

Se oggi vai a Caulonia, attraversi la via principale titolata a Vincenzo Niutta e chiedi ad un suo cittadino: “chi era costui?” Novanta su cento non sapranno aprir bocca! Eppure fu il più insigne giurista del Regno delle Due Sicilie, Presidente della Suprema Corte di Giustizia, le sue sentenze fecero scuola di diritto, scrisse di proprio pugno il decreto che indisse il plebiscito di adesione al Regno d’Italia, fu parlamentare e Ministro del primo governo di Cavour. Il più il illustre dei cauloniesi fino ad oggi, indubbiamente!

Se chiedi, invece, che era “Mbambalambì” non troverai nessuno anziano che ti dirà di non averlo conosciuto o un giovane di non averne mai sentito parlare perché quel gioco semplice ed innocente è stato fonte di grande affetto e rispetto popolare che il tempo non riesce ancora a vincere.

Anche Ilario si è meritata una lapide a perenne ricordo, è là, guarda in alto a destra all’ingresso del cimitero, troverai la gratitudine di Caulonia tutta.

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