Caulonia torni a chiamarsi Castelvetere

Caulonia torni a chiamarsi Castelvetere

(foto di Toto Fragomeni)

(foto di Toto Fragomeni)

Caulonia. L’ho cercato non senza difficoltà, ma alla fine la mia ostinazione a voler leggere tutti gli autori cauloniesi ha avuto la meglio. Cercavo “Caulonia antica è Caulonia i mò” del prof. Orazio Raffaele Di Landro. E la difficoltà stava tutta nella discrepanza tra le date di presentazione dell’opuscolo, tenuta il 14 agosto 2015, e quella di pubblicazione di aprile 2014. Nel richiederlo pensavo fosse una novità editoriale, mentre gli edicolanti, seppure interessati a vendere, ne avevano perso la memoria.

E’ un poemetto vernacolare con una introduzione, ed entrambi con lingue diverse argomentano la stessa cosa: Caulonia antica, quella magno greca, con certezza è seppellita nella zona di Focà (Mattunusa). Confesso che anche io sono stato affascinato da questa tesi leggendaria che è ormai vecchia, iniziata dall’arciprete Davide Prota con la pubblicazione delle “Ricerche storiche su Caulonia” nel 1913 e continuata dal dottore Ubaldo Franco con il suo opuscolo “Kaulonia, Caulonia Marina e Punta Stilo” del 1959. Ora ci troviamo di fronte all’indubbio merito di una ricostruzione aggiornata, sistematica e minuziosa di tutte le fonti storiche e dei ritrovamenti archeologici riguardanti il nostro territorio.

Tuttavia, dopo averlo letto e riflettuto nel merito delle argomentazioni mi sono convinto per almeno tre motivi dell’esatto contrario di ciò che appassionatamente si vorrebbe dimostrare, come se nel secolo che ci separa dal Prota non si siano verificate novità di rilievo.

  1. All’affidabilità assoluta attribuita dal prof. Di Landro al complesso delle fonti messe in evidenza si contrappone la critica severa dello storico Mario Pellicano Castagna che afferma; “… l’antica Castelvetere si affaccia all’età medievale con tutti i dubbi e le incertezze che accomunano tanti centri del nostro Mezzogiorno, intorno ai quali sarebbe persino vano chiedere l’apporto della letteratura storiografica contemporanea o di altro tipo di informazione e documentazione. E le stesse fonti cinque-seicentesche, alle quali si è voluto dare finora troppo ed immeritato credito, non solo non ci aiutano a colmare un vuoto plurisecolare, ma sembrano anche del tutto smentite dalla più recente critica storica e dai ritrovamenti archeologici di Capo Stilo.” Ritrovamenti che a Monasterace ogni anno stanno svelando le meraviglie uniche e la raffinatezza raggiunte dalla civiltà magno greca, mentre i nostri reperti, numerosi, sporadici e casuali, ci dicono, com’è del tutto evidente e logico data la vicinanza e la posizione orografica, che siamo stati parte della chora di quella polis con un ruolo strategico decisivo, essendo stato l’Allaro linea di confine tra Kaulon e Locri Epizefiri eterni nemici. Convengo sulla trascuratezza e sottovalutazione dimostrate nei nostri confronti da chi avrebbe dovuto compiere degli scavi preordinati come l’importanza dei rinvenimenti imponeva. E aggiungo che di tutto quello che c’è nulla è visibile a noi e al turista visitatore interessato. E in questa direzione andrebbero concentrati di più gli sforzi e le polemiche per predisporre un luogo espositivo idoneo alla loro valorizzazione.

  2. Il “vuoto plurisecolare” a cui Pellicano Castagna fa riferimento è un buco nero lungo 1.200 anni, dodici secoli di silenzio, un salto enorme dalla distruzione di Kaulon da parte dei romani nel 204 a. C. e la comparsa ufficiale di Castelvetere negli ultimi due decenni dell’XI secolo, in epoca medievale coincidente con l’avvento dei normanni. I romani sono stati una terribile cesoia, hanno assorbito quella civiltà e a loro volta, allo stato attuale della conoscenza, hanno lasciato diverse tracce e nessun insediamento abitativo di rilievo. Quella popolazione di origine ellenica appare ancora oggi dissolta nel mistero.

  3. In queste condizioni e di fronte alla realtà concreta distante da noi 20 km, è impresa titanica quanto cieca contrapporsi a Paolo Orsi, ad uno dei padri dell’archeologia, a tutti coloro che hanno continuato gli scavi e gli studi sul sito di Monasterace: Soprintendenza, strutture universitarie nazionali ed estere, archeologi, storiografici. Dobbiamo umilmente ammettere che nel 1863, quando Castelvetere mutò il nome in Caulonia, siamo diventati figli di nessuno, di un equivoco storico non più sostenibile.

Invece di perpetrare l’inseguimento vano della mitica chimera greca, dovremmo ritrovare l’onestà intellettuale per spostare la riflessione sui nostri veri e legittimi progenitori consacrati dalla storia che, non senza ragione, si identificarono nel toponimo “Palaiokastron” medio bizantino, evoluto in “Castellum Vetus” e stabilizzato in Castelvetere. Per far giungere fino a noi questa città fortificata da mura possenti faticarono come dannati e diedero la vita per difenderla e trasmetterne la progenie. I nostri ceppi antichi germogliarono in cima alla rupe e lì estesero robuste ramificazioni, affondando le radici nelle viscere più profonde. Siamo incontestabilmente castelveterini. Dobbiamo avere il coraggio di ritrovare noi stessi e riparare al torto inferto ai nostri avi nel solo modo possibile; cambiare, modernizzando la denominazione del comune in Castelvetere di Calabria.

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