“L’estate di…” Daniela Maggiulli, prima “profuga italiana” a Riace: «Ho scoperto l’umanità»

“L’estate di…” Daniela Maggiulli, prima “profuga italiana” a Riace: «Ho scoperto l’umanità»

Fonte: CoratoLive.it

Da Corato ci spostiamo a Riace per la quarta puntata delle interviste intitolate “L’estate di…”. Abbiamo raggiunto telefonicamente Daniela Maggiulli, coratina di 47 anni, insegnante di inglese nella scuola “Colasanto” di Andria: ha fatto una scelta tanto bella quanto impegnativa.

Dopo aver “incontrato” le esperienze di Egidio Tarricone, il giovane coratino che «accende i paesi», di Sergio Mastrapasqua con la sua storia di riscatto per il centro storico, e di Sandro, la guardia giurata alle prese con la sicurezza in città, oggi – grazie a Daniela – raccontiamo un angolo d’Italia che sta avendo il grande merito di restituire valore all’amanità.

Quando abbiamo iniziato a parlare “dell’estate di” abbiamo fatto una premessa: questa stagione non è solo vacanza, campagna, mare, montagna, passeggiate e cene tra amici. C’è chi, vivendola in modo singolare, può testimoniare storie a cui spesso non si pensa e che, invece, più di altre delineano “il volto” della nostra terra.

E quindi, Daniela, com’è la tua estate? Cosa stai facendo di preciso?
Sono a Riace già da alcuni mesi. Sto mettendo le basi per un progetto culturale che partirà all’inizio dell’autunno. Ho invitato qui amici artisti, filosofi, esponenti del mondo della paesologia: vengono gratuitamente, li ospito io stessa nelle case che ho comprato e loro in cambio lasciano delle opere d’arte. Stiamo facendo degli “esperimenti” culturali per capire cosa funziona meglio in questa realtà “fatta” di immigrati e anziani.

Riace è tutta da conoscere: durante l’anno ci sono per lo più persone molto avanti negli anni. Da quando hanno iniziato ad accogliere i curdi nelle vecchie case il paese, ormai vuoto e abbandonato, ha ripreso a vivere. Io qui sono la prima “profuga italiana”: mi hanno accolta con curiosità e io non finirò mai di ringraziarli per il patrimonio umano e culturale che mi stanno permettendo di “accumulare”.

La tua giornata tipo?
Mi sveglio (ci dice Daniela sorridendo) e faccio colazione fuori. Ho arredato l’esterno della mia abitazione sebbene qui mi scoraggiassero in questa idea: avevano paura che mi rubassero qualcosa. Ho realizzato un piccolo giardino, con tante piante, oggetti belli, tavolini e sedie. Vengono a trovarmi tutti, a prescindere dall’età. Io offro loro il caffè e poi ascolto tutto quello che a loro viene in mente di dire.

Un’anziana mi racconta come ha dormito, un bimbo mi chiede se ho pensato ad un nuovo gioco, un giovane immigrato magari mi chiede aiuto in qualcosa. E poi ci sono i turisti, che si fermano vicino casa mia a fare le foto o a chiedermi informazioni. In sostanza stiamo assecondando ciò che accade per capire al meglio come strutturare il progetto che andremo a realizzare, qui chiunque è libero di esprimersi.

L’altro giorno un contadino mi ha detto: “da quando sei venuta Riace è più bella”. Queste sono le cose che mi danno entusismo. Il “manifesto” di quello che stiamo facendo è una poesia di Franco Arminio, scritta per me su di un lenzuolo dai ragazzi del liceo artistico insieme alla loro insegnante Rosanna Quatela. L’ho steso fuori dalla finestra di casa per prendere un angolo di questo paese e farlo “sacro”, luogo in cui riscoprire la bellezza.

Perché una scelta così impegnativa?
Ho sentito una chiamata. Cercavo un villaggio in cui vivere una dimensione molto più umana, ho girato un po’ di luoghi in Italia. Sono arrivata qui e ho vissuto la magia dell’accoglienza. Ho sentito il desiderio di “mettere” un po’ di bello, sia nella vita dei calabresi che in quella di chi arriva. Qui pochi restano, i rifugiati arrivano ma poi vanno via per raggiungere altre zone dell’Europa in cui andare a lavorare.

Mi sono innamorata di questa umanità: a Riace non c’è differenza tra ricchi e poveri, si va avanti con solidarietà. Lo standard di vita è uguale per tutti, tutti sono utili e importanti. Anche i razzisti, presenti anche qui, in qualche modo sono riconoscenti ai profughi: la scuola, la chiesa, l’ufficio postale senza di loro non avrebbero più avuto ragione di esistere.

La difficoltà più grande che hai incontrato?
Lasciare la Puglia. Per me la bellezza è molto importante e abitarsi alla Calabria aspra non è stato semplice. Camminando per strada si vede solo il cemento, la costa del basso Ionio è devastata. Abituare gli occhi e il cuore ad un paesaggio senza bellezza è stato difficile, complicatissimo per la mia anima. Quando ho iniziato a curare piante e fiori qualcuno ha pensato di imitarmi: la bellezza è contagiosa, questo mi dà tanta energia.

Cosa ti ha fatto innamorare di Riace?
L’umanità che è alla base e riempie di senso il progetto. Qui, quando un bimbo sta male è il sindaco che lo porta in ospedale e lo va a trovare, anche spostandosi fino a Milano.

Un episodio che particolarmente ti sta a cuore?
Un giorno ho visto un’anziana – Cosimina, oggi mia amica – compiere un gesto che mi ha pietrificata e l’ho allontanata emotivamente, pensavo di lei che non si sarebbe mai interessata ad una poesia o a qualcosa che raccontasse la bellezza. Un giorno è venuta a sentire la poetessa Claudia Fabris, è rimasta in silenzio, quasi assorta. Alla fine della serata è venuta da me e mi ha detto: “tutti hanno bisogno di cinque minuti di felicità e voi me li avete dati”. Con quelle parole ha dato senso a quello che stiamo facendo: qui a Riace vanno avanti da soli, grazie al sindaco Lucano. L’Italia e li ha abbandonati, nessuno se ne cura.

E poi ci sono gli adolescenti, che in questo periodo sono con i parenti che durante il resto dell’anno vivono fuori. Quando sono arrivata erano i bulli del paese. Oggi vengono nel mio giardino e imparano l’italiano o come coltivare i fiori. Sono diventati i miei aiutanti, delle guide, i miei riferimenti. Non avevo in mente nulla di tutto questo ma è accaduto.

In ultimo, non per importanza, il mio pensiero va a Sara. Mi ha fatto vivere una esperienza straordinaria: ho pianto di felicità quando mi ha ringraziata per essere stata la prima donna ad averle dato un passaggio ed averle fatto toccare il mare: non lo aveva mai fatto. Lei ha 28 anni, arriva dalla Nigeria, e mi ha messa in contatto con un lato della mia umanità che forse non avrei mai immaginato di avere.

A Corato come hanno accolto questa tua scelta?
La mia famiglia ha reagito con grande sorpresa, non mi vogliono scoraggiare. Questo progetto ha una quota di rischio molto alta ma loro mi lasciano libera di seguire questo cammino perché hanno capito che è quello che desidero fare, sono abituati a confrontarsi con delle scelte molto forti. Sia le mie sorelle che mio figlio ormai si sono abituati. Ho cambiato tante volte il lavoro, da imprenditrice a insegnante, quasi per caso: molti anni fa feci il concorso – per accontentare mia madre – e nel 2009, all’improvviso, la graduatoria scorrendo è arrivata a me. Sono diventata insegnante di ruolo e la mia vita è cambiata del tutto, compreso il rapporto con la mia famiglia.

I miei genitori sono la parte più importante della mia vita ma, con entrambi, non posso più avere contatti. La mia mamma è morta: era meravigliosa, molto colta, figlia della libertà, dei diritti, appassionata di viaggi e di cultura. Era filoamerica perché i suoi genitori erano emigrati negli Stati Uniti. Mi ha trasmesso l’amore per le lingue e per le culture straniere.

E poi mio padre, sono orgogliosa di lui e dei valori etici che mi ha trasmesso. Era un ingegnere, a Corato ha seguito la realizzazione di tanti edifici oltre a spendersi anche in politica per un po’ tempo. Poi se ne è allontanato, facendo una scelta etica molto forte, coraggiosa, di giustizia, quando ha capito il male che un certo tipo di politica poteva fare alla sua vita e a quella degli altri.

Vorrei tanto sapere cosa pensa del mio progetto a Riace ma non posso più chiederglielo perchè ha l’Alzheimer. Ora mi vede come una bella signora, una persona che lui gradisce accogliere: mi chiede come mi chiamo, mi mostra la sua stanza, mi sorride tutto il tempo. Immagino che con quel sorriso voglia dirmi “vivi, essendo te stessa, porta avanti quella che credi essere la tua missione nel mondo”.

Cosa “porterai con te” tornando a Corato?
Tanta umanità. Tornerò un milione di volte più ricca di storie, di passioni, di idee, di speranza, di cultura, di bellezza. Un patrimonio immenso.

Consiglieresti ad altri l’esperienza che stai facendo?
Questa per me è una esperienza di grande felicità, per questo è doveroso consigliarla. Per me è un modo per essere meno disperati, per vivere l’utopia di un mondo migliore. Uno alla volta, non in massa, venite a Riace.

Il nostro Paese sta vivendo un momento storico importante, mi spaventa molto la cultura dominante, il mondo della scuola dal quale provengo, il regresso che stiamo vivendo da un punto di vista ideologico. Riace rappresenta un altro modo di vivere, un modello efficace, replicabile, in grado di contagiare il mondo.

Il valore politico di questa operazione è immenso. Forse per questo qui non arrivano soldi ora che il progetto comincia a diventare troppo famoso per essere tollerato, troppo sovversivo. Qui si parla degli esseri umani in maniera molto diversa rispetto a come vorrebbero inquadrarli gli Sprar. Serve tanta energia per riuscire a realizzare questo sogno e io voglio dare il mio contributo.

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