Riace, giustizia e nobiltà

Riace, giustizia e nobiltà

Riceviamo e pubblichiamo:

Forse dovremmo iniziare a prendere in considerazione l’ipotesi di vergognarci di quello che stiamo diventando, ormai siamo un paese che striscia.

Abbiamo consegnato la giustizia e l’informazione al servizio della politica e la politica alla mercé dell’arrivismo e dell’arroganza, come se non avesse mai dovuto occuparsi del bene comune, ma fosse unicamente destinata alla propria immagine, al proprio ego. Al punto che chi si occupa di bene comune viene indagato. In nome della giustizia, certo, una peculiare fattispecie di giustizia, che non appare altrettanto solerte in numerosi altri casi.

L’umanitario può trasformarsi in una macchina infernale, questo è risaputo, il tema viene affrontato da anni, internazionalmente e da studiosi di diversi ambiti. Ma i risultati di questo pensiero vanno nella direzione del “modello Riace”, che è stato, è – e voglio credere che continuerà a essere – una risposta concreta alle derive dell’assistenzialismo, alle carenze del sistema, allo scollamento della realtà dell’accoglienza dalla società. Il modello integrato che ha fatto del borgo di Riace una suggestiva Babilonia, affacciata su uno scenario naturale che rimanda all’origine del creato, tra calanchi, ulivi, fichi d’India e l’inesprimibile bellezza del mar Ionio, quel modello di accoglienza è stato un atto di intelligenza, oltre che di profonda umanità.

Un paese che argina lo spopolamento, riempie le scuole, rivitalizza la propria cultura con la pratica dell’incontro, crea un effetto domino nei borghi vicini: tutto ciò può fare orrore, di questi tempi. A Riace, una passeggiata tra i vicoli è sufficiente per respirare un’atmosfera diversa da quella che ci viene ostinatamente restituita dalla quotidianità nazionale. Quel razzismo capillare – che si teme di definire tale e si chiama con parsimonia, quasi gli fosse dovuto rispetto – che invade i nostri discorsi e i nostri pensieri alimentandosi di incertezze e paura, a Riace è stato soppiantato dai fatti. In piazza l’anziano scherza con il bambino e per le strade le persone si salutano, come è normale che sia, se non fosse per il crocevia di nazionalità che si intersecano in questo luogo che direi, semplicemente, magico.

Il territorio, questo sconosciuto, zerbino da calpestare o red carpet per la sfilata di turno, a seconda delle opportunità offerte dalla macro e dalla microstoria, il territorio è stato interpellato dal modello di accoglienza che ha portato Riace nel mondo.

Faccia pure la giustizia il suo corso, sarà comunque necessaria un’accurata riflessione sulle declinazioni della dignità. E prima che la storia, la nostra, diventi minuscola, faccia pure la Giustizia il suo corso.

Fabiana D’Ascenzo

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