Scrivere per testimoniare. Tanti auguri, Ciavula!

Quando mi proposero di entrare nel mondo di Ciavula, stentai a credere di saper scrivere su qualcosa, men che meno di poter scrivere rivolgendomi a qualcuno. Pensai a quanto è difficile descrivere la realtà così com’è, rispettando quella correttezza su cui si costruisce l’atto stesso della scrittura; pensai alla complessità che sta nel saper interpretare, tracciare, commentare qualcosa di realmente accaduto; soprattutto, ragionai sulla difficoltà insita nel cercare la realtà giusta da trasformare in parola scritta. Non mi sbagliavo ma, provandoci, giunsi a delle consapevolezze ben salde, racchiuse nell’essenza stessa di questo giornale. Quando si scrive –disse un giorno un mio professore mentre leggeva uno dei suoi classici preferiti- si ha una sola missione: testimoniare. Testimonianza, dal latino testimonio, ossia prova, manifestazione di una qualche realtà, nel tempo ha assunto il significato attivo di ciò che prende vita in forma di parola scritta e che, attraverso il lettore, diventa patrimonio da condividere con l’intera collettività.

Tutta la nostra cultura si fonda su parole messe nero su bianco, divenute eterno sigillo del rapporto che si instaura tra chi scrive e chi legge perché, ogni qual volta si scrive, l’autore cerca di essere uno specchio per il proprio lettore fino a fare di quest’ultimo un suo riflesso. Chi scrive sa –per ricordare quello che Pier Paolo Pasolini diceva di se stesso-ma chi scrive soprattutto è, diventando essere che si rinnova grazie all’esercizio della scrittura e al desiderio di quell’insaziabile lettore che compartecipa a questo processo di continua essenza. Mediante la scrittura ciò che è idea diventa materia il cui frutto si trasforma in testimonianza nuova, bella o brutta, da accettare o rinnegare, volta a compiacere o scandalizzare. La testimonianza che nasce dalla scrittura, quindi, è l’unico strumento di lettura del tempo affinché ciò di cui siamo fatti non vada perduto.

Buon compleanno, Ciavula.