Dottor Robot

Dottor Robot

Ernest Quintana, 79 anni, era malato da tempo. Il paziente e la sua famiglia sapevano che i polmoni non avrebbero retto a lungo, ma non si aspettavano che al Kaiser Permanente Medical Center di Fremont, in California, una comunicazione delicata come l’avvicinarsi della fine della vita di una persona potesse avvenire in quelle modalità.
L’infermiera aveva comunicato che il medico sarebbe arrivato presto per offrire aggiornamenti sulle condizioni di salute dell’uomo, ma nella stanza del signor Quintana, invece di una persona in carne e ossa, è entrato un robot, attraverso il quale è stato meccanicamente riferito quanto segue: “Lei sta morendo, probabilmente non tornerà più a casa”.
Questo episodio, appreso in maniera quasi casuale, mi ha particolarmente colpito poiché lo trovo emblematico dell’epoca che stiamo vivendo; un’epoca in cui, come previsto da Albert Einstein, la tecnologia sta andando oltre la nostra umanità, fino a sopraffarla.
Disponiamo di strumenti più veloci ed efficienti che ci garantiscono il rapido accesso alle informazioni e facilitano la comunicazione, eppure siamo sempre meno informati e releghiamo le relazioni umane a una dimensione sempre più virtuale e spersonalizzante. Così facendo, la conoscenza dell’altro e della realtà circostante si limita alla superficie, l’incontro tra gli individui non trova spazio e il dialogo diviene un sordo monologo in cui ciascuno cerca solo di imporre le proprie ragioni, spesso trincerandosi dietro lo schermo di un computer.
Il progresso tecnologico è importante e migliora molti aspetti della nostra vita, ma
dobbiamo curarci di non perdere la nostra umanità: nessun robot potrebbe mai restituircela.

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