Gli occhi di un bambino

Gli occhi di un bambino

Nella giornata di ieri è stata diffusa l’immagine di un bambino curdo gravemente ferito ricoverato in ospedale.

Il suo corpo appare devastato, il suo volto completamente corroso e ustionato; la pelle gli è stata portata via dalle bombe turche, così come l’infanzia e il diritto a un‘esistenza quantomeno normale.

Gli occhi oramai privati dell’innocenza, spalancati e colmi di terrore, raccontano una sofferenza indicibile, gridano al mondo l’orrore della guerra e sembrano voler chiedere il perché di una follia che non può trovare ragione.

Ho deciso di non pubblicare qui quell’immagine. Forse  per una forma di rispetto verso un dolore così grande; più probabilmente per un atto di autodifesa, in quanto continuare a guardarla mili addolora e mi fa sentire tremendamente in colpa. Mi sento in colpa perché, una volta terminato questo scritto, potrò permettermi il lusso di tornare alle usuali attività quotidiane, gioendo o lamentandomi per cose molto più futili di quanto non lo sia il valore della vita.

Eppure, ognuno di noi dovrebbe guardare quegli occhi, o provare anche solo ad immaginarli.

Quelli sono gli occhi di un bambino; un bambino come tanti che ha solo avuto la sfortuna di nascere in un angolo di Terra tormentato dai conflitti e dalle ingiustizie;

sono gli occhi di chi, nonostante la giovane età, ha già visto tutta la crudeltà di cui è capace l’essere umano;

sono gli occhi di chi la guerra non la vuole né la discute nelle stanze del potere o nei talk show televisivi, ma è costretto a subirla;

sono occhi che penetrano la coscienza collettiva chiedendo a ciascuno di noi di abbandonare il torpore della nostra sconfortante indifferenza.

Non possiamo più voltarci dall’altra parte.

Non possiamo far finta che non stia accadendo nulla.

Non possiamo evitare di fare i conti con gli occhi spaventati di un bambino che muore.

Photo by Levi Clancy on Unsplash

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