“Osare”, in inglese, è “dare”

“Osare”, in inglese, è “dare”

Sapevo di non sapere più di spirito adolescente da un bel pezzo. Mezzo matto e mezza matta si presero per mano e si tuffarono nel frullatore, ne uscì il sorbetto più buono che abbia mai assaggiato ai tavoli del punto ristoro piazzato sul tratto piano del cammin di nostra vita. Mi lecco le dita. Cancello un’altra data dal calendario. In medium stat virtus. Uso scostumatezze solo quando da sobrio vorrei tanto bere e star zitto mentre guardo il vuoto che davanti a me si riempie dei miei pensieri. Una volta ho visto anche te che stai leggendo. Non potendo far finta di niente, tesi la mano che uscì dalle parole, che uscirono dal foglio. Le scrivo e non le voglio. Cancello e poi mi spoglio. Sono San Francesco e parlo con gli animali dal 1978. Ti crea problema? L’eterno ridosso è l’avvicinamento al momento nel quale starò bene.

Non sarei mai pronto anche pensandoci più del dovuto. Chi ha avuto a che fare con l’instabilità si è dato alla macchia. Chi ha avuto a che fare con l’eternità si pavoneggia con gli ultimi arrivati. Chi ha dato l’impressione di farsi i cazzi suoi sta male.

L’ho sentito dire ad un tizio allo sportello, ero in fila per il rinnovo della patente. St’amico non ci vedeva praticamente più. Era il mister Magoo al quale la miopia permetteva di non rendersi conto dei pericoli che lo circondavano ma che era finito nelle grazie della Dea Fortuna. E la fortuna è cieca. E Magoo deve avere la sua cazzo di patente nuova.

Mi ritrovo invischiato in un affare che sembra più grande di me ma potrebbe non esserlo di molto. Piazzo la mia puntata. Mi rendo conto che il croupier fa dei gesti strani a qualcuno alle nostre spalle. Lancia la pallina. La appoggia al bordo superiore della parte concava. Piazza un colpo preciso. Guardo Magoo puntare il suo bastone contro la roulette che gira e sembra non volersi fermare mai più. Trivella le speranze di chi al tavolo sa già di aver perso, anche nel caso in cui dovesse uscire il suo numero. Non ho mai visto così tanto tatto nel trattare il tema della sconfitta come nel caso in cui la si tratti nel momento della vittoria. E me ne fotto della gloria. È sempre riduttivo propinare pillole di saggezza a chi ha bisogno di un abbraccio prima di finire per terra.

Che cazzo se ne fa degli integratori chi ha fatto dell’integralismo una ragione arrugginita con la quale segna il trascorrere dei giorni sulla sua pelle? La scelta tra le moltitudini delle cicatrici dei bei tempi andati è pur sempre la scelta di una cicatrice alla volta. Una alla volta. Una alla volta. E non puoi dirmi che vuoi tutto se non puoi dirmi tutto insieme. Una alla volta. Una alla volta. Una alla volta. E non posso dirti che voglio tutto se non riesco a dirtelo tutto insieme. L’insieme è quell’abbraccio. Il tutto è quella terra sulla quale andremo a sbattere e sotto la quale andremo a riposare. Stiamo parlando una lingua aliena solo perché non vuoi ammettere che stiamo parlando. Quando le porte della percezione furono fatte saltare in aria non ho sentito nessun rimprovero dai tuttologi dell’esplosività. E l’esclusività di determinate scelte, adesso che mi si ritorcono contro, fanno di me il Re del mio regno del vuoto che ho davanti e che si riempie dei miei pensieri. “Gli artiglieri alle fottute postazioni!”, mi urlo. “I faccendieri che cazzo stanno facendo?”, mi urlo. La mia strategia punta a stanare i rigattieri dei miei ricordi. Quelli che hanno preso la mia truppa di soldatini che nel Natale 1986 procedevano spediti verso la grotta del presepe salvo poi trovarsi di fronte al contrordine della casa Madre. Cerco loro: devono convincermi che non ero Rambo a otto anni, e che la guerra è finita, e che Gesù non nascerà anche quest’anno e anche quest’anno non morirà sulla croce. Se non risolvo questa, non chiedermi più del perché di quella luce nei miei occhi. Mi rimbocco le maniche e mi lancio dal burrone mentre qualcuno spara nascosto tra le fresche frasche. Ha le tasche piene di proiettili, suppongo sappia che quello di abbattermi non sarà un compito facile. Giochiamo! E ci diciamo che ci odiamo, che le nostre reciproche pellacce le pagheremo a caro prezzo. Nel vezzo mi incammino ed è gradita la tua presenza. Non devi giustificarti se smarrisci la via, me ne sono solo andato in perlustrazione per evitarti tuttotuttotutto.

Strizzo il sangue che scorre sulla mia camicia e bevo. Speculo sui modi di dire e faccio in modo che il chiodo non sia mai fisso ma ben piantato. Se ho osato è perché sapevo di non farcela e allora tanto vale osare. In inglese si dice “dare”. Annoto spesso queste stronzate perché un giorno potrebbero tornarmi utili come chiosa. Eccola la chiusa.

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