Non c’è un cazzo da ridere

Non c’è un cazzo da ridere

Più mi dicevano che non c’è un cazzo da ridere, più io non riuscivo a smettere. Si trattava di buttare le carte sul tavolo e giocare senza farsi prendere dalla smania di vincere. Ho frainteso e sono stato frainteso. Sia messo agli atti che i patti erano chiari e non erano questi.

Piccoli pestiferi, crescemmo tra i lanci di qualunque cosa nostra madre si trovasse in mano, o tra i piedi. I rimedi tramandati dalla nonna non hanno mai tradito. Me la immagino, mia nonna, a discutere con la Montessori. Non lo avrebbero fatto apposta ma lo avrebbero fatto. La posta in gioco è altra. Dai microcosmi a macrocosmi: degli orgasmi della crescita sono piene le fosse. Forse a ridosso dell’età della ragione crediamo di avere in mano gli strumenti adatti. C’è molta più gente incapace di tenere al tempo di quanta io stesso potessi credere. Ma la condanna non è definitiva.

La voglia di mettersi in discussione abroga ex nunc le peggiori intenzioni. Possiamo ripartire dalle intuizioni, dalle invenzioni che il nostro tempo richiede. La fede concede agli eredi agi e disagi che il suffragio universale ridurrà a stragi di Stato. Ho dato per buono che ogni punto di arrivo fosse un buon punto di partenza. Senza pensarci troppo, riparto dalle trappole. Le coccole sono finite, le fiaccole non devono spegnersi. Chi regge il moccolo è in debito di ossigeno. Sgancia il reggiseno e respira. Il veleno si mescola all’aria pulita e l’intossicazione retrocede a tosse secca. Le contrazioni espiratorie si ricordano delle formule assolutorie. Mi rigiro nel sonno. L’inno alla gioia racconta di abbracci universali tra moltitudini le cui solitudini sono partiture fotocopiate del dramma dell’abitudinario moderno. Lo sterno si comprime, l’eterno allunga le sue ombre oltre la vista e del suo fare materno non sappiamo più cosa farcene.

Apparteniamo a quelli che si ispirano ai più bravi e non risolvono mai un cazzo. Apparteniamo ai noi che non firmano i documenti, ai noi che non pagano mai da bere. Gli artificieri si piazzano sotto casa tra ordigni e ordini. Uno di loro bacia le mani al patrigno e si fa esplodere. Si corrodono gli equilibri, nessuno si ricorda più l’antica arte della lettura. Eccoli i tizi che fatturano in nero le spese accessorie per il funerale. In pompa magna, la fila per il commiato trasuda lacrime sulla polo di cui un coccodrillo non sa più cosa farsene. I più sobri sono i parenti. I più probi sono i perdenti. Anubi è grande e lo specchio è il suo profeta. Assumo immagini che mi assomiglino abbastanza da non dover essere sempre presente. La mente si accontenta. Dei lamenti in cui mi addormento son piene le fosse. Posso sì riesumarli tutti nei sogni a venire, ma non lo farò. Posso sì editarli a mio uso e consumo, ma non lo farò. Passo la palla a chi è più bravo nelle esultanze. Le vacanze immaginate stanno per arrivare, e se Ciccio Summer non va alla vacanza è la vacanza ad andare da Ciccio Summer. Mi han chiamato stamattina per prenotare ma non voglio ombrelloni, non voglio sdraio, non voglio niente. Ho un paio di birre, una borsa frigo gialla e dei panetti di ghiaccio gelidi. Rompiamo le righe e torniamo ai nostri posti. Nel caso in cui non foste interessati alle nostre proposte, potete decisamente passare alla cronaca locale. O ai risultati delle partite. O al gossip. O ai necrologi. La transitorietà delle vite di chi vota dura meno del governo eletto e non ha manco una pensione che invaliderebbe la mia posizione troppo spesso critica. Una nuova elezione prima di una nuova elezione. La dura lezione sulla tipicità della riuscita di un piano fallimentare è finita. Con quale coraggio vi presenterete allo specchio in cui Anubi sa bene chi voi siete? Ho frainteso e sono stato frainteso. Non credo sia quello il peso che ci pesa veramente.

Se pensi che io ti abbia offeso fai conto che lo stia facendo veramente, ché pensare é gratis. Il malinteso si nasconde dietro l’angolo tra la cornetteria aperta anche di notte e l’ottica in cui riparerò gli occhiali che la notte scorsa ho schiacciato mentre dormivo. Schivarlo è la sfida. Schiavizzarlo è la presunzione. Lo schizzo di un progetto ad ampio respiro tira le fila al burattino che, indegno e filiforme, si lascia andare alla danza. È fuori tempo. È fuori luogo. La pedagogia moderna ha poco a che fare con l’educazione: l’attenzione ai problemi di attenzione ha fagocitato ogni altro aspetto dei piccoli esseri umani bastardi che zompettano inconcludenti a tempo indeterminato. Ho frainteso e sono stato frainteso. Più mi dicevano che non c’è un cazzo da ridere, più io non riuscivo a smettere di farlo. Accosto. Piango dal ridere. Piango tutto. Vale niente. Verità. Complotti. Vita. Morte. Cenacoli. Fascismi. Fascismi. Violenza Psicologica. Resistenza. Isolamento. Televisione. Televisione al plasma. Connessione. Interconnessioni. Resilienza. Rincoglionimento. Miracoli. Ignoranza. Buone nuove. Brutte nuove. Primavera. Conferme. Smentite. Estate. Malanove. Autunno. Conferme. Inverni. Complotti. Maggioranza. Menomazioni. Montessori. Primo grado. Università della strada. Appello. Silenzi. Cassazione. Assensi. Ti parlo e non mi senti. Tragedie. Preghiere. Felicità. Linearità. Vergogna. Lassismo. Urla. Lassismo. Esche. Severità. Urla. Indecisione. Evoluzione. Certezze. Libertà. Io. Mio. Dio. Libertà. Libertà in pillole. Libertà gocce. Libertà granulari. Libertà condizionata. Aria. Libertà. Ora. Urla. Ieri. Urla. Oggi. Domande. Urla. Risposte. Urgenze. Latenze. Parvenze. Mattanze.
Non è questo il bipolarismo del quale avevamo parlato.

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