Demetra, la dea delle messi, madre amorevole e suocera furiosa

Demetra, la dea delle messi, madre amorevole e suocera furiosa

A cura di Pinella Schirripa

La locride ha una storia illustre, spesso dimenticata, le finestre sul passato ci aiutano a farne memoria.

Per i greci, Demetra (in greco antico Δημήτηρ, che significa ‘madre terra’) era la dea protettrice dei cereali, delle coltivazioni e della fertilità dei campi. Era anche la custode del matrimonio, della legge sacra , delle stagioni, dei cicli di vita e morte. Il culto verso questa Dea veniva praticato anche nella polis magno-greca Locri Epizefiri , l’usanza è avvallata, oltre che dall’esistenza di un mese detto ‘Damatarios’ presente in alcune tabelle dell’archivio di Zeus, anche dalla raffigurazione della divinità sui pinakes e su statuette provenienti dal santuario di Grotta Caruso. Inoltre, in uno scavo, in epoca più recente rispetto agli altri, sono stati rivenuti attrezzi per lavorare la terra, per la caccia e la pesca donati in voto alla dea, per propiziarsi un buon raccolto, una fruttuosa pesca e caccia.

Locri si distingueva all’interno del contesto magno-greco per il suo pantheon di divinità muliebri, differentemente dalle altre poleis dove predominano culti prettamente maschili a carattere eroico, basati su miti di combattimenti e di morte.

I riti locresi legati alle divinità femminili sembrano inquadrarsi in una forma di venerazione e di rispetto delle entità femminili e di condanna della violenza maschile. Il mito di Demetra è legato a quello della figlia Kore o Persefone , la dea degli inferi , ed a Locri era così praticato, che in onore di quest’ultima fu eretto, in un luogo suggestivo tra i colli della Mannella e della Abbadella, il celebre santuario sub-urbano Persephoneion , definito da Diodoro siculo (I sec.a.C) il più celebre santuario d’Italia.Pare che, proprio da questo luogo, provenga la statua che raffigura la Persefone in Trono, esposta all’Alt Museum di Berlino. La leggenda, a cui il mondo pagano era legato, narra che Kore, mentre raccoglieva fiori insieme alle sue amiche, sulle sponde del lago di Pergo, venne rapita da Ade, il dio degli inferi, portandola via su un carro alato. La madre Demetra, che aveva udito il grido di aiuto della figlia, non riesce a trovarla, allora provata da tanto dolore, scese dall’Olimpo, si vestì a lutto e incominciò a vagare sulla terra alla sua ricerca. Dopo aver lasciato inaridire tutta la vegetazione e minacciato l’estinzione dell’umanità (cara agli dei per via dei sacrifici che venivano offerti), venne in suo aiuto Zeus che mandò Hermes a riprendere Persefone, ormai sposa e regina degli inferi. Ade con l’inganno, riuscì a far mangiare a Persefone dei chicchi di melograno, rompendo il digiuno che le avrebbe permesso il ritorno sulla terra. Demetra furiosa con Ade, fa continuare la siccità e costringe Zeus ad intervenire nuovamente. Giunsero così ad un compromesso: Persefone avrebbe trascorso sei mesi all’anno (quanti erano i chicchi mangiati) con la madre e gli altri sei mesi con Ade. Questa storia mitologica greca, raffigurata ripetutamente nei pinakes locresi, oltre ad essere la metafora del ciclo delle stagioni,è il simbolo del doloroso distacco tra madre e figlia e la fine dell’accudimento materno.

Demetra,dopo molti patimenti e mediazioni, riconosce che la figlia non è più la fanciulla Kore, ma è diventata Persefone donna e sposa, ed accetta che passi parte del tempo anche con il proprio marito. Cosicchè , la dea bionda da suocera furiosa si trasforma in suocera generosa. Molte madri assistono all’abbandono del figlio della dimora familiare, la sindrome del nido vuoto, generalmente viene superata positivamente ed in breve tempo, anche se lascia un fondo di tristezza. In alcuni casi, la madre non regge al distacco e lo vive all’insegna del dolore, se poi la colpa della separazione è attribuibile alla presenza della persona che è entrata nella vita del proprio figlio o figlia, diventa morbosamente asfissiante. Quando la genitrice, attraverso il suo intuito affettivo, percepisce che colui o colei sta cercando di prendere il suo posto o che non sarà capace di accudire alla sua prole così come ha fatto lei, allora da madre amorevole e premurosa si trasforma nella cattiva suocera, pesante, sospettosa, pettegola , onnipresente ed invadente. Anche se il rapporto tra suocera-genero non è sempre idilliaco, generalmente non crea conflittualità a differenza del rapporto suocera-nuora. Le due donne entrano in competizione pur di avere maggiore influenza sul figlio/compagno. Lo stereotipo classico, sul quale si sono riversati fiumi d’inchiostro, tende a mostrarci la nuora come una rivale quasi da annientare e la suocera un acerrimo nemico da sconfiggere. La costante lotta tra suocera e nuora è oggetto,in chiave comica, di tantissime commedie, films, fumetti , barzellette, e la troviamo anche in questo dialogo, proposto sempre in vernacolo roccellese.

Doppu i cunpetti, nesciuni i difetti da nora e puru da socera

Peppinuzza- Cummari Maruzza, Auguri,Auguri !Seppi cha u figghiolu vostru si fici zzitu cu ‘na bella cotrara ,è paisana?

Maruzza-Certu, donni e voi du paisi toi;

Peppinuzza- Allura a canusciu i sicuru. A cui apparteni?

Maruzza– Esti a figghia i mastru Vicenzu u scarparu, u vicinu nostru, ma non mi capacitu comu mai va fujiu , cha i solitu non vi sfuggi mancu nu zzampagghiuni ‘nta ll’aria;

Peppinuzza-Fici bonu ,fici bonu, matrimoniu i ruga e cumparatu i fora;

Maruzza– E Coluzzu vostru fici ancora megghiu, datu cha sa trovau ‘nta parentela;

Peppinuzza-Eccomu no! Chi parenti amaru cui si menti ! ‘Nto paisi è cosa saputa cha eu e la nora mia non ‘ndi spartimu u sonnu;

Maruzza-I sumpessari vostri ennu bravi perzuni , e non crijiu cha ijia è differenti. Com’è a carni veni u brodu.

Peppinuzza- Vi raccumandu propriu! Non ennu pà comu parunu, e l’utri pigghia du pedicinu. Si l’apria l’occhi, non mi capitava sta sorti.

Maruzza-Matrimoni e viscuvati du celu ennu mandati, volimi o non volimi si cumbinanu suli;

Peppinuzza-Matrimoni tra parenti sunnu guai e turmenti ed è veru stu dittu;

Maruzza– Cediti vui chi siti a randi, duru cu duru non frabbica muru;

Peppinuzza- E’ pejiu si dugnu signu i debulezza,pacchì a nora mia , si trova mojiu zappa fundu ;

Maruzza– E si vi mostrati cchiù tolleranti ? Forzi a figghiola si conza ;

Peppinuzza- U lignu stortu ,u conza sulu u focu;

Maruzza– E si appariti cchiù duci?

Peppinuzza-E chi cangia? A socera pà nora, puru ch’ esti i zuccheru non è bona;

Maruzza-E vostru figghiu i quali parti staci?

Peppinuzza- Da parti da mugghieri e cuntra i mia. Crisci figghioli e ti penti, crisci porci e ti linchi;

Maruzza– Si sapi cha u beni tra socera e nora dura quantu a nivi i marzu, ma po quietu viviri non è megghiu si portati pacenza?

Peppinuzza- A portu eccomu! Ma chija è comu u sumeri ,quandu non tira carci, muzzica;

Maruzza– Forzi, i discordi venanu cha vui voliti u dominati ancora supra a vostru figghiu;

Peppinuzza- Quandu mai! Cui faci gabbu u ‘ncappa!;

Maruzza– Ognuno chijiu chi simina, ricogghi;

Peppinuzza-Vui parrati facili ,pacchì vostru figghiu ancora è zitu. Aspettati u si marita e poi viditi. Doppu i cumpetti nesciuni i difetti.

Maruzza– I difetti ci nesciuni tantu di nori, quantu di soceri;

Peppinuzza- Cummari , cu stu giru i paroli, mi voliti diri cha sugnu ‘na perzuna ‘ntriganti?

Maruzza-No cummari, vogghiu diri cha a facci pocu viduta è a cchiuù graduta, pà cui menu di vidimu chi nori e cchiù ‘mpaci stamu;

Peppinuzza-Mi pari cha comu a girati e comu a votati, mi fati a capisciri cha a curpa è tutta a mia;

Maruzza– Sapiti chi vi dicu? A bona maritata è senza socera e né canata. Mò trasimu ‘nta chiesa cha a campana ‘ntinnau , e lu previti ‘ncigna a novina.

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