Nessun uomo è clandestino: Gioiosa a piedi nudi

Nessun uomo è clandestino: Gioiosa a piedi nudi

“Le uniche cose che dovrebbero essere divise in base ai colori sono i panni da lavare…”

Non solo uomini e donne a piedi scalzi, ma anche i bambini. Diverse le associazioni, i comuni, le cariche presenti alla Marcia delle donne e degli uomini scalzi, organizzata dall’associazione ReCoSol di Gioiosa Jonica, aperta dallo striscione con su scritto “Nessun uomo è clandestino”. Quanti eravamo? Chi eravamo? Quanti non importa. Chi ha sentito il dovere morale di partecipare, ha partecipato. C’è chi ha voluto percorrere quelle strade che quotidianamente attraversiamo in auto, di corsa e talvolta a piedi, chi ha deciso di tenere per una ventina di minuti le proprie scarpe in mano, certo che una volta arrivato in piazza, si sarebbe trovata una fontana per sciacquarsi i piedi. E le scarpe erano lì, pronte per essere nuovamente indossate. La certezza, la sicurezza di poter riavere i piedi all’asciutto e al pulito: parole sconosciute per chi viene da lontano, per chi intraprende un viaggio che, a differenza di quello fatto simbolicamente stamattina, ha una meta immaginaria accompagnata dalla totale incertezza di raggiungerla. Il cammino intrapreso stamattina, insieme ai ragazzi immigrati del progetto Sprar di Gioiosa Jonica e non solo, è stato un cammino organizzato, calcolato, con orario di partenza e orario di arrivo ed una piccola accoglienza in Piazza Vittorio Veneto con qualcosa di fresco da bere. Cos’ha in comune con il viaggio intrapreso da un immigrato? Davvero poco. Un migrante non sa quando partirà, né quando arriverà. E se arriverà. Conoscevamo coloro che avrebbero partecipato alla nostra marcia: sono amici, colleghi, collaboratori coi quali si condividono gli stessi valori. Un migrante non sempre è a conoscenza di chi sarà suo compagno di viaggio. Del viaggio della speranza. Un migrante non può esser certo di trovare accoglienza una volta arrivato. Eppure noi questo simbolico viaggio insieme abbiamo deciso di intraprenderlo, lamentandoci, com’è nella nostra indole fare, di un asfalto a tratti caldo e di un po’ di polvere sotto ai piedi. Abbiamo utilizzato i piedi, gli stessi piedi che pochi giorni fa una giornalista ungherese ha ben pensato di usare per mettere lo sgambetto ad un padre, immigrato, in fuga col figlio in braccio. E per tirare dei calci ad altri.

“La lingua è di colore rosso ed i denti sono bianchi, eppure hanno sempre vissuto insieme. Allora perché noi umani non possiamo vivere insieme, anche se di colore diverso?”, sono queste le parole di Ismaila, richiedente asilo e ospite presso il progetto Sprar di Gioiosa Jonica, che spiega al microfono l’ingiustizia di essere additati come assassini e stupratori solo perché, come accade in qualsiasi cultura o nazione, qualcuno commette atti del genere. E continua: “Ho un sogno: un mondo dove non c’è bisogno di dire Io sono africano, io sono italiano, io sono cristiano, io sono musulmano, ma un mondo dove è sufficiente dire: Io sono Ismaila”. Toccanti parole, come quelle di Mario Congiusta che racconta come in passato i nostri nonni usavano dire a chi passava per le strade “Veniti, trasiti”, per dimostrare accoglienza e ospitalità: bisogna tornare a quello. Il sole di mezzogiorno picchia su Piazza Vittorio Veneto e, nonostante il caldo, qualche brivido si alza sulle braccia. E mi piace l’idea di ricordare questa giornata con l’immagine delle due bambine che durante tutta la marcia hanno camminato per mano e coi piedini nudi: una, figlia di mamma italiana e papà africano, scura, con occhi neri neri e capelli folti e ricci; l’altra, pelle color latte e biondi capelli. Sono sicura che mentre ballavano insieme, zampettando al ritmo dei jambe, non hanno notato l’una nell’altra, alcuna differenza.

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