RUBRICA “DE ANDRÉ, SECONDO ME…” – LA GUERRA DI PIERO

RUBRICA “DE ANDRÉ, SECONDO ME…” – LA GUERRA DI PIERO

“La guerra di Piero” è stata scritta nel 1964 ed inserita per la prima volta nell’album Tutto Fabrizio De André del 1966. È considerata una delle più significative canzoni contro la guerra mai scritte.

Piero la guerra la subisce, desidera la pace ma è costretto a combattere per ragioni a lui sconosciute contro altri esseri umani che hanno la sola colpa di indossare, in battaglia, una divisa diversa dalla sua.

Mi vengono in mente le parole di Gino Strada, che una volta ha affermato: “La guerra non è una cosa inevitabile, è sempre una scelta, e non è mai una scelta fatta dai cittadini, dalle popolazioni.

Le guerre le vogliono i ricchi, i potenti, e poi ci mandano a morire i poveri”.

La guerra, che sia di religione o per la supremazia economica e territoriale, si attua da sempre ai danni di innocenti che ne pagano le conseguenze.

De André, anche in questo caso, racconta la realtà guardandola con gli occhi dei più fragili, degli sconfitti, delle vittime, conferendo loro grande dignità e straordinario valore simbolico.

Piero non è un veterano di guerra, un vincitore.

Eppure, nel suo essere apparentemente antieroe, compie un atto di puro eroismo: sceglie di restare umano e di vedere l’umanità nel proprio rivale, non cedendo alla macabra logica della guerra.

Piero muore ma resiste, perde come soldato ma vince come uomo.

Chi, voltandosi, gli spara e lo uccide, non è altro che una vittima della paura, quasi sempre principale responsabile degli atti di violenza.

La paura conduce alla diffidenza, che può facilmente diventare avversione, e infine scontro.

“La guerra di Piero” sarà una canzone estremamente attuale fino a quando continuerà a risultare dominante la folle logica secondo cui il conflitto costituisce uno strumento utile ad ottenere la pace.

Nella società moderna la violenza trova ampia diffusione praticamente ovunque, affermandosi sotto forme diverse ma avente il solo, costante risultato di causare distruzione e morte.

In tale contesto, parlare di canzoni come “La guerra di Piero” potrebbe sembrare anacronistico, quasi retorico.

Invece, oggi è quanto mai necessario sforzarsi di guardare al mondo con occhi diversi, occhi come quelli di Piero, capaci di non perdere di vista ciò che, pur tenendo conto delle nostre differenze, ci accomuna, ci rende simili e ci unisce, in quanto esseri umani.

Oggi, preservare la propria umanità, è il più grande atto di eroismo che ciascuno di noi possa compiere.

Fonte foto: WordPress.com

La guerra di Piero.

Dormi sepolto in un campo di grano

non è la rosa non è il tulipano

che ti fan veglia dall’ombra dei fossi

ma sono mille papaveri rossi.

“Lungo le sponde del mio torrente

voglio che scendano i lucci argentati

non più i cadaveri dei soldati

portati in braccio dalla corrente”.

Così dicevi ed era d’inverno

e come gli altri verso l’inferno

te ne vai triste come chi deve

il vento ti sputa in faccia la neve.

Fermati Piero, fermati adesso

lascia che il vento ti passi un po’ addosso

dei morti in battaglia ti porti la voce

chi diede la vita ebbe in cambio una croce.

Ma tu non lo udisti e il tempo passava

con le stagioni a passo di giava

ed arrivasti a varcar la frontiera

in un bel giorno di primavera.

E mentre marciavi con l’anima in spalle

vedesti un uomo in fondo alla valle

che aveva il tuo stesso identico umore

ma la divisa di un altro colore.

“Sparagli Piero, sparagli ora

e dopo un colpo sparagli ancora

fino a che tu non lo vedrai esangue

cadere in terra e coprire il suo sangue.

E se gli spari in fronte o nel cuore

soltanto il tempo avrà per morire

Ma il tempo a me resterà per vedere

vedere gli occhi di un uomo che muore”.

E mentre gli usi questa premura

quello si volta, ti vede, ha paura

ed imbracciata l’artiglieria

non ti ricambia la cortesia.

Cadesti a terra, senza un lamento

e ti accorgesti in un solo momento

che il tempo non ti sarebbe bastato

a chieder perdono per ogni peccato.

Cadesti a terra, senza un lamento

e ti accorgesti in un solo momento

che la tua vita finiva quel giorno

e non ci sarebbe stato ritorno.

“Ninetta mia crepare di maggio

ci vuole tanto, troppo coraggio

Ninetta bella dritto all’inferno

avrei preferito andarci in inverno”.

E mentre il grano ti stava a sentire

dentro alle mani stringevi un fucile

dentro alla bocca stringevi parole

troppo gelate per sciogliersi al sole.

Dormi sepolto in un campo di grano

non è la rosa non è il tulipano

che ti fan veglia dall’ombra dei fossi

ma sono mille papaveri rossi.

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