Tra rom e migranti, Salvini dimentica la mafia

Tra rom e migranti, Salvini dimentica la mafia

Notizia tratta da: lettera43

Immigrati, richiedenti asilo, rom. Sono gli obiettivi su cui in questi primi giorni di governo si sono concentrate le prove muscolar-mediatiche del ministro Matteo Salvini, senza soluzione di continuità con i toni usati in campagna elettorale. E questo nonostante i numeri del Viminale e dell’Ocse sugli sbarchi smentiscano la narrazione dell’emergenza. Sono stati giorni di hashtag minacciosi, «pacchie finite», «crociere» e «censimenti».

IL BALLETTO DELLE CIFRE. Ma guai a definire razzista, xenofoba e fascista questa linea dura. Il fatto è che, sempre secondo gli elettori del Carroccio e più in generale i fan (pure insospettabili) dell’uomo forte, gli italiani «ne hanno le scatole piene». Prima noi, insomma. O meglio prima “loro”. E pazienza se la spesa di questa «invasione» sia interpretata all’occorrenza: per esempio i 5 miliardi che secondo Salvini andrebbero per mantenere i «finti profughi» in albergo in realtà comprendono anche le operazioni di salvataggio, l’assistenza sanitaria e i programmi di integrazione. Tolti gli 80 milioni che ci arrivano dall’Ue per l’accoglienza l’Italia spende in realtà dai 3 ai 3,5 miliardi (come ha sottolineato lavoce.info).

SGOMBEROPOLI. Dopo il clandestino, Salvini ha lanciato la sua crociata contro i rom. Da censire, e «purtroppo» da tenere se sono di cittadinanza italiana. Stando all’ultimo rapporto annuale dell’Associazione 21 luglio si sta parlando di una popolazione che va dalle 120 mila alle 180 mila unità. Il 43% di coloro che vivono in insediamenti riconosciuti è di nazionalità italiana, il 55% è minorenne. Ventiseimila sinti, rom e camminanti che si trovano in emergenza abitativa: lo 0,04% della popolazione italiana. Dal 2012, anno della presentazione di una “Strategia nazionale”, per la cosiddetta politica dei campi sono stati spesi 82 milioni di euro. In assenza di approcci alternativi si è ricorso sistematicamente quanto inutilmente agli sgomberi. Nel 2017, sempre secondo la 21 Luglio le operazioni di polizia sono state 230: 96 al Nord, 91 al Centro (33 a Roma) e 43 a Sud.

Nessuna sorpresa: quale fosse il programma della Lega era noto. Così come non stupiscono i toni del leader. Ci sono però ben altre «pacchie» che soffocano da decenni il nostro Paese e a cui bisognerebbe mettere la parola fine. Pacchie a cui il ministro Salvini non ha – ancora – dichiarato guerra. ll contrasto alle mafie, per esempio. Non occupa grande spazio nemmeno nel contratto di governo firmato con Luigi Di Maio. Poche righe per ricordare che «bisogna potenziare gli strumenti normativi e amministrativi volti al contrasto della criminalità organizzata, con particolare riferimento alle condotte caratterizzate dallo scambio politico mafioso».

CENSIMENTO? SÌ DEI MAFIOSI. La verità è che – anche solo a farne una questione economica – la mafia strangola l’economia pulita. Non solo infiltrandola o taglieggiandola col racket o l’usura, ma solo coesistendo con essa. Un team di professori dell’Università di Padova a inzio 2017 ha cercato di quantificare il danno nel Nord e nel Centro Italia. In sintesi a tre anni da una operazione anti-mafia, il fatturato delle imprese sane del territorio interessato è cresciuto dal 10 al 17%. L’inquinamento mafioso quindi equivale a una “tassa piatta”, occulta, del 10, 15%. Salvini potrebbe proporre un censimento delle aziende infiltrate e dei prestanome dei boss che operano spesso indisturbati sull’intero territorio nazionale. Qualche numero l’equipe di ricercatori padovani l’aveva dato: tra il 2004 e il 2014 nel Centro-Nord sono stati 1.567 i condannati per mafia, di questi 392 sono risultati amministratori o azionisti con almeno il 10% delle quote di imprese. Un mafioso su quattro, insomma, era un imprenditore.

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I ricavi illegali delle mafie valgono l’1,7% del Pil italiano

Le mafie e la criminalità in genere sono ancora un cancro da non sottovalutare. Per dare una idea di quale spa si stia parlando possono essere utili le stime di Transcrime, centro di ricerca dell’Università Cattolica di Milano. Dagli ultimi dati disponibili, rapporto Pon, gli investimenti delle mafie (2013), i ricavi delle attività illegali variano da un minimo di 17,7 miliardi a un massimo di 33,7. Equivalgono in media all’1,7% del Pil. Di questi entrano nelle casse delle mafie tra gli 8,3 e i 13 miliardi di euro (il 32% e il 51% dei ricavi illegali totali). In media, le estorsioni rappresentano il 45% di questo importo, le droghe il 23%, l’usura il 10%, la contraffazione e lo sfruttamento sessuale l’8% ciascuna. Camorra e ‘ndrangheta – e Salvini eletto in Calabria sicuramente ne è consapevole – raccolgono circa il 70% del bottino delle organizzazioni criminali italiane: ogni anno le due organizzazioni incassano circa 7,2 miliardi di euro. Denari su cui evidentemente non si pagano tasse e frutto di attività che danneggiano l’economia, oltre a cancellare la vita di centinaia e migliaia di persone: dalle vittime di racket agli schiavi dei caporali nei campi.

GLI INVESTIMENTI. Come recita sempre il rapporto, questi proventi vengono poi reinvestiti. A Sud (con eccezione della Puglia) soprattutto in immobili, mentre a Nord si preferiscono le imprese. Nel 46,6% dei casi si tratta di srl, più facili da costituire, seguite poi dalle imprese individuali. ll commercio è il settore preferito (29,4%), seguono le costruzioni (28,8%) e più distanziati alberghi e i ristoranti (10,5%) e le attività immobiliari (8,9%).

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Se si volesse poi «alzare garbatamente la voce» in Europa, oltre alla questione migranti Salvini potrebbe dare un’occhiata ai traffici delle organizzazioni criminali italiane e non solo nel Vecchio continente. Dove è innegabile l’invasione delle “nostre” mafie (come si nota dalle cartine sopra e sotto).

IN EUROPA 110 MLD DI FATTURATO. Il rapporto finale del progetto Ocp (2015) sempre di Transcrime quantifica in 110 miliardi l’anno il business europeo pari all’1% del Pil comunitario. Dopo il traffico di droga, le attività più redditizie sono le frodi e la contraffazione.

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Le ruspe di Salvini arriveranno anche per il lavoro nero?

Sempre nella “sua” Calabria, Salvini con il collega Luigi Di Maio (che con il suo partito ha fatto l’en plein proprio nel Mezzogiorno) potrebbe battagliare per chiudere non i porti, ma il lavoro nero. Questa regione detiene infatti il triste record per incidenza di lavoro irregolare: il 9,9%, seguita da Campania (8,8%) e Sicilia (8,1%). La piaga del sommerso colpisce tutto il Paese: in questo limbo si trovano, secondo il rapporto Censis Confcooperative relativo al periodo 2012-2015, ben 3,3 milioni di lavoratori. Persone senza tutele, senza pensione e con salari spesso da fame. Il tutto per una evasione contributiva calcolata in 10,7 miliardi di euro (altro che mantenere i migranti in hotel). Per non parlare dell’evasione: dal primo gennaio 2017 al 31 maggio 2018 la Guardia di finanza ha scoperto 1000 grandi evasori che hanno sottratto al Fisco 2,3 miliardi di euro, più di 2 milioni a testa. La Fiamme Gialle hanno individuato quasi 13 mila evasori totali, contestando 23 mila reati fiscali.​

UN MERCATO DOPATO. Le aziende che non regolarizzano i propri lavoratori poi dopano il mercato: abbassando il costo del lavoro di oltre il 50% rappresentano una concorrenza sleale e illegale alle imprese che operano nella legalità. Ruspa anche per loro, ministro?

Francesca Buonfiglioli

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