Quanto ci manca De André, a vent’anni dalla sua morte

Quanto ci manca De André, a vent’anni dalla sua morte

A vent’anni dalla sua morte, Fabrizio De André ci manca.
Manca a tutti noi.
Manca per la sua capacità di dar voce agli ultimi, agli emarginati, alle vittime di un’esistenza tanto complicata quanto, forse proprio per questo, particolarmente interessante e meritevole di essere raccontata.
Manca perché sapeva cogliere le fragilità, gli istinti e le paure che spesso si celano dietro le azioni umane; d’altronde, come canta lui stesso: “… Se non sono gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo”.
Manca per la sua voglia di restituire dignità agli oppressi, ai suicidi, alle prostitute, alle minoranze, a tutta quella frangia di umanità considerata “diversa”, cui la vita riserva insidie e difficoltà.
Manca per l’attitudine a mettere in risalto le differenze che intercorrono tra legge e giustizia, tra potere e abuso di potere, tra morale e moralismo.
Manca perché oggi più che mai avremmo bisogno di qualcuno che ci ricordi l’importanza di viaggiare “in direzione ostinata e contraria”, guardando oltre gli stereotipi imposti dalla società contemporanea e rifiutando la logica del pensiero dominante.
De André ci manca; manca anche a quelli che oggi lo celebrano ma che, se fosse vivo, probabilmente lo considererebbero un “buonista/perbenista/professorone/radical chic”.
De André ci manca, ma le sue parole resistono al trascorrere del tempo e costituiscono una boccata d’ossigeno per chi le sa ascoltare, un appiglio per gli indifesi, un inno alla forma più autentica di libertà.

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