Ai bambini morti a scuola in Kenya

Ai bambini morti a scuola in Kenya

Suona la campanella, un nuovo giorno di scuola sta per iniziare.

I passi dei giovani studenti si susseguono in rumoroso disordine, le voci entusiaste si accavallano, le risate sgorgano in quel modo incontrollato e contagioso che appartiene ai bambini di tutto il mondo.

È il ritmo quotidiano e universale dei giovani che entrano a scuola; è il fragore inarrestabile della vita che scorre.

Ognuno si affretta ad entrare in classe per occupare il proprio posto.

Silenzio. Entra la maestra, la lezione può avere inizio.

La stanza si riempie dell’inconfondibile fruscio che fa la carta quando si volta frettolosamente pagina; dai banchi si alza un vocio divertito e complice. Qualcuno scherza con l’amico del cuore; qualcun altro fissa l’orologio, perdendosi nel lento movimento delle lancette che scandisce il tempo che lo separa dal rientro a casa.

Scorci di agognata normalità in un lembo di terra in cui la quotidianità è caratterizzata da inimmaginabili difficoltà ed estrema povertà.

D’un tratto però un rumore inaspettato, diverso da qualsiasi altro mai udito prima. Non si tratta del suono della campanella, né della maestra che rimprovera un compagno troppo esuberante.

È un fragore gelido, assordante eppure inascoltato dal resto del mondo: le pareti di quella stanza in cui fino a pochi minuti prima i bambini si sentivano protetti e in diritto di crescere immaginando un futuro migliore, sono crollate diventando improvvisamente barriere insormontabili, prigioni crudeli e fatali.

Mi piace pensare che quei bambini, morti in Kenya pochi giorni fa a seguito del crollo avvenuto in una scuola, avessero dei sogni da realizzare, dei giocattoli con i quali giocare, una famiglia dalla quale farsi amare; mi piace pensare che quei bambini abbiano avuto il tempo e il modo di sentirsi, anche solo una volta, davvero felici.

Non è giusto andar via così, nessuno dovrebbe morire prima ancora di aver davvero iniziato a vivere.

Quei bambini, nati tra gli ultimi e vissuti troppo poco per vedere il loro riscatto, morti senza far rumore né suscitare clamore, meritano di essere ricordati; meritano parole che ne addolciscano, se possibile, la triste sorte; meritano che, nel rivolgere loro anche solo un pensiero fugace, ciascuno di noi avverta un po’ di dolore, di indignazione, di rabbia.

Photo by Geronimo Giqueaux on Unsplash

CATEGORIES
Share This