Dei. Luoghi. Comuni.

Dei. Luoghi. Comuni.

di Francesco Villari

“Il medioevo è alle porte”. “La stagione dell’amore viene e va”. “Il mare a settembre è il mare più bello”. “Che i ragazzetti la smettessero di fare gli scemetti mantenuti e che si prendessero delle responsabilità anche loro, finalmente”. “Fossimo negli anni Settanta avremmo già contezza di ferri in mano e di morti per strada”. “L’idea è bella ma mancano i soldi”. “Fin qua tutto bene”. 

Ma quando è “qua”? I più faciloni potrebbero rispondere distrattamente: Ottobre 2019, Calabria, Italia, Europa, Mondo. Ok! Ma noi non siamo faciloni e rispondiamo: “Protervia”. 

Si può scrivere “Protervia” senza far scappare il lettore dopo solo qualche riga? Possiamo scrivere “Protervia” senza il brivido di sentirci protervi? No, non possiamo. Perché “Protervia” è uno di quei termini che non puoi sostituire con un sinonimo senza snaturane il significato, senza recidere le ramificazioni dell’essere protervo. Te la senti davvero di scegliere quale ramo strappare da un concentrato così esaustivo di pensieri, parole, opere e omissioni? E se recidendolo ti trovassi a sopire l’effetto dell’esplosione della parola per come la si pronuncia? Fai attenzione. Pensaci. Almeno per qualche secondo, pensaci. 

Audacia, superbia, prepotenza, alterigia, boria, arroganza, sfrontatezza, insolenza, insolenza (due volte, ché una non basta), impudenza, sopraffazione, superiorità. No, non possiamo tagliare nessuno di questi rami. 

Però possiamo pensare al momento in cui abbiamo smesso di riconoscere il valore delle parole che pronunciamo. Io sono più che tollerante con i momenti frivoli e di leggerezza, sia chiaro. Sono il primo peccatore ed in quanto tale non potrei mai schierarmi dalla parte dell’accusa, sia chiaro. 

Ma non ricordo l’istituzione di corsi regionali sull’utilizzo leggero delle parole ed il declassamento del loro significato e “vabbè, io quello volevo dire”. E nemmeno ricordo di validi provvedimenti del Ministero dell’Istruzione dedicati a rispolverare anche nei più adulti l’importanza di lucidare gli strumenti atti alla comprensione, l’importanza di riuscire a capire e di farsi capire con la piacevole sensazione che la conseguenza del reciproco comprendersi si porta dietro. 

Viviamo anni protervi, anni che del piombo ereditano solo il colore. Pensaci. Almeno per qualche secondo, pensaci. Se sarà il caso, ne riparleremo.

Possa l’ipotesi di un maledicibile riscaldamento globale preservarci da uno degli scenari più azzeccati della benedetta tradizione italica: “U porcu è ‘a muntagna e a caddara bugghi”.

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