Il cantautore Giorgio Seminara si racconta a Ciavula

Entro in una stanza ricca di strumenti musicali, spartiti, penne. Qui mi accoglie Giorgio Seminara, conosciuto dalla comunità gioiosana (e non solo), fino a qualche tempo fa, come il cantautore dei Taran Quartet, gruppo di musica popolare esordito otto anni fa. Ponderata la scelta di staccarsi da tale gruppo, a lungo meditata e qualche settimana fa ufficializzata. Ma l’intervista a Giorgio Seminara non è volta a parlare di ciò di cui si è già parlato. Giorgio non vuole essere ripetitivo, se non nell’augurare agli ex compagni di viaggio un buon futuro.

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Mi ricordo di Giorgio fin da piccola in quanto apprendista nella falegnameria di mio padre, e me lo ricorda anche lui, sottolineando come la creatività lo ha sempre caratterizzato. Giorgio è un imbianchino, un decoratore di interni. La sua bravura è nella voce così come nelle mani. Mani che mette a disposizione spesso a Carnevale nella realizzazione dei carri allegorici che hanno sfilato per le strade di Gioiosa. Perché lo fa? Semplicemente perché gli piace (così sfatiamo anche il mito del vociferare che le cose si fanno solo perché si viene pagati). Giorgio inoltre è membro del direttivo dell’associazione Borgo Antico la quale organizza spesso eventi (come la festa di San Martino dello scorso novembre). Ma torniamo alla musica.

Chiedo a Giorgio come, quando e perché ha iniziato ad interessarsi alla musica e qui, scopro con stupore, che lui è nipote del famoso Rocco del Sud, cantante che ha portato la musica popolare oltreoceano. “Durante i pranzi e le cene di famiglia, mio zio ci allietava con la sua musica: sono cresciuto così”. Giorgio mi racconta di aver studiato musica col professore Antonio Ritorto all’interno del complesso bandistico gioiosano Gioacchino Rossini, del quale ha fatto parte per lunghi dieci anni, suonando prima le percussioni e poi la tromba. E poi è arrivata la musica popolare. “Il rumore dei tamburi di San Rocco ha fatto la propria parte”, mi riferisce Giorgio. Si sente trasportato da questo gran fracasso. “Un qualsiasi musicista di musica popolare non può non partecipare, almeno una volta nella sua vita, alla festa di San Rocco”.

Chi è Giorgio adesso? Sicuramente una persona decisa, una persona “anima e cuore”: non lo dice soltanto, ma lo dimostra. Una persona che aveva deciso inizialmente di prendere un periodo di pausa dalla musica, senza mai pensare di abbandonarla ovviamente. Ma poi è arrivato un gran supporto, dalle pacche sulle spalla accompagnati dai “Giorgio non ti fermare” alle telefonate e ai messaggi di tanti che l’hanno sostenuto. Di tanti che Giorgio non poteva immaginare. Così, nel giro di 24 ore, cambio di rotta. Dei bravi musicisti lo stanno accompagnando in questo nuovo tour 2015 e a breve, ci sarà una new entry. Ma di questo non sveliamo ancora nulla. Mi spiega Giorgio che vorrebbe portare un’innovazione nella musica popolare, non solo nel sound musicale. Prima di tutto, superare il dialetto standard, che ha la sua chiara importanza, ma non deve fossilizzarsi solo in questo. Ha intenzione di aggiungere nei testi l’italiano, l’inglese e anche il mandingo (dialetto africano che Giorgio ha avuto modo di conoscere grazie ai Kunta Kinte, il gruppo musicale dei ragazzi africani dell’associazione ReCoSol, con i quali ha trascorso, tempo fa, un periodo di prove insieme).

Giorgio parla ed io lo ascolto con attenzione, perché nel suo raccontarsi, la mia cultura musicale si arricchisce. Così che mi balza questa domanda in testa: “Ma la differenza tra la musica folk e popolare, sostanzialmente, qual è?”. Lui sorride, prende la chitarra e mi fa ascoltare le due categorie delle quali avevo appena chiesto spiegazioni. E mi rendo immediatamente conto che parlare di musica è come cercare di descrivere il gusto di un dolce: ci puoi anche provare, ma non potrai mai capire se non lo assaggi.

Giorgio scrive canzoni, accompagnandosi con la sua fedele chitarra. I testi nascono di notte, di getto. Alla mattina li sistema e li mette in metrica. Col buio, l’esplosione della creatività. Col giorno, la razionalità e il mettere in ordine ciò che è nato. “Le mie canzoni nascono da sole, vengono fuori già con le parole” dice Giorgio sorridendo. Una canzone per te, Vasco Rossi, 1983.

“Tra quelle che hai scritto, qual è la tua canzone preferita?”, “Vita” mi risponde, dedicata al nipote Salvatore.

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Giorgio ha fatto ballare le piazze, ha allietato piccoli e grandi eventi, come matrimoni e ricevimenti. E mi confida che, nonostante sia soddisfacente cantare in una piazza davanti ad un vasto pubblico, lui continua ad avere un debole per gli eventi più ristretti: il contatto con il pubblico è più forte, meno distante: non ci sono scalette ed a mezzanotte non è già finito, anzi, se va bene, si è nel pieno della festa.

Ora Giorgio ha un piccolo sogno: quello di mettere su disco le registrazioni di nenie e cantilene delle signore anziane. Ci sta già lavorando. Inoltre, è rimasto colpito da un incontro  avuto con un signore anziano che ha condiviso il carcere col brigante Peppe Musolino: durante questo colloquio tante le cose scoperte. Subito dopo, ha buttato giù un nuovo testo.

Il disco al quale ora Giorgio sta lavorando tratta di atteggiamenti di vita quotidiana e religiosità. Aspetti che Giorgio vive e sente presenti nel suo paese, Gioiosa, al quale si sente profondamente legato.

Pongo un’ultima domanda a Giorgio: “Sento spesso dire che la gente si è stancata di musica popolare e tarantelle. Tu, da cantautore, cosa vuoi rispondere?”. “E’ vero -mi dice- tanti si sono seccati, ma non possiamo negare che la musica popolare, ormai, è conosciuta in tutto il mondo. Vedi la Puglia con la sua pizzica. Forse è stata un po’ più fortunata: la Calabria, in questo senso, è stata molto più lenta. Ma le lamentele della gente devono essere un input per ricercare nuovi stimoli, anche e soprattutto nei testi: la musica popolare non è solo un tamburello che batte, è anche rappresentata dalle parole. Inoltre -mi spiega- credo che la piazza sia un luogo troppo caotico per ascoltare la musica. Le casse sono al massimo, la gente vuole ballare e non c’è abbastanza spazio per i singoli strumenti. Prova ad ascoltare lo stesso concerto in un teatro, e poi mi dirai cosa ne pensi”.

L’intervista si conclude, con i bicchieri del caffè, che Giorgio mi ha offerto, ormai vuoti, ma con la consapevolezza (piena) del grande patrimonio musicale presente sul nostro territorio.

“L’estate è alle porte -mi dice Giorgio- per cui non posso che augurare a tutti i musicisti della Calabria una bella stagione ricca di musica e cultura”. E noi, la auguriamo a lui.

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