Aylan, simbolo di una sconfitta mondiale

Aylan, simbolo di una sconfitta mondiale

Alcune barche di profughi siriani sono naufragate mercoledì davanti alle coste turche. Tra le vittime, un bambino ritrovato senza vita tra le onde.

L’ immagine straziante ha fatto il giro del web, ed è stata ripresa da diversi giornali.

Il problema è che ormai immagini di questo tipo sono talmente frequenti da risultare paradossalmente quasi normali alla vista, così come normale ci appare l’ impotenza del mondo davanti a simili drammi.

Tutto è ammesso, nulla riesce più a stupirci.

aylan

Il bambino siriano si chiamava Aylan, aveva tre anni: troppo pochi per conoscere le ragioni che lo hanno portato alla morte, per sapere cosa sia il benessere e cosa invece sia la disperazione, per riuscire a dividere il mondo in “casa nostra” e “casa loro”.

Come molti di voi, anche io ho visto quell’ immagine, tremenda al punto da non avere senso o giustificazione, e mi sono domandato se fosse o meno il caso di pubblicarla.

Sono giunto alla conclusione che fosse più opportuno concedere al piccolo Aylan la dignità e la riservatezza che dovrebbero appartenere di diritto a ciascun essere umano, lasciando spazio unicamente ad un fiocco nero, segno del lutto che dovrebbe albergare in ognuno di noi, assieme alla rabbia e all’ indignazione.

Aylan nella foto sembra dormire, come uno qualunque dei nostri figli.

È piuttosto vicino alle coste italiane, in un mare in cui probabilmente centinaia di persone avranno trascorso le vacanze, lontane dallo stress e dai cattivi pensieri.

Non è certamente il primo a morire in mare durante un viaggio che doveva essere di speranza e si è trasformato in tragedia, né tanto meno sarà l’ ultimo.

Ma parlarne è doveroso, per scuoterci tutti dallo stato di passiva inconsapevolezza o, peggio ancora, di scientifica intenzione di ignorare.

E scuotersi non significa guardare una foto o leggere un articolo di giornale, stupirsi, pregare o imprecare, per poi girarsi dall’ altra parte aggrappandosi alla propria serenità quotidiana.

Significa piuttosto capire che le istituzioni europee e gli organismi internazionali non possono più rimandare; non c’ è più tempo per un’ Europa che, come canta De Andrè, “si costerna, si indigna, s’ impegna e poi getta la spugna con gran dignità”.

Mentre tentenniamo tra paure, avversione, slanci emotivi e sensi di colpa, la gente muore, i bambini come Aylan vengono privati del futuro, ed il fenomeno dell’ emigrazione necessita di una soluzione sempre più urgente.

I nostri governanti devono dimostrare di essere all’ altezza di questa delicatissima fase storica, non ci saranno più molte occasioni per farlo.

Un’ altra vittima innocente ha perso la vita in mare: non rendiamo vana la sua morte, non giriamoci ancora dall’ altra parte.

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